I quasi duemila detenuti palestinesi nelle carceri israeliane che avevano proclamato la «battaglia degli stomaci vuoti» hanno accettato l'accordo raggiunto ieri mattina al Cairo, grazie alla mediazione egiziana. Dovranno rinunciare a ogni «attività terroristica» in carcere. Miglioreranno le condizioni di detenzione.
(Milano/g.s.) – Dovranno riprendere ad alimentarsi entro 72 ore da ieri sera e rinunciare a svolgere qualsiasi attività di reclutamento o di propaganda del terrorismo anti-israeliano tra i loro compagni in carcere. In cambio ottengono la fine del regime di isolamento, la possibilità di ricevere visite anche dai familiari più stretti che risiedono nella Striscia di Gaza, e la revoca delle restrizioni imposte da alcuni anni ai prigionieri palestinesi come ritorsione per il rapimento del soldato israeliano Gilad Shalit (durato dal 25 giugno 2006 al 18 ottobre 2011).
Sono i termini dell’accordo raggiunto ieri mattina al Cairo, grazie ai buoni uffici dei mediatori egiziani, tra una variegata delegazione palestinese e gli emissari israeliani dell’Agenzia per la sicurezza e dell’amministrazione penitenziaria. Sempre ieri, in serata, il documento è stato accettato dai quasi duemila detenuti palestinesi in sciopero della fame, che così hanno posto fine alla loro «battaglia degli stomaci vuoti».
La decisione è stata condivisa anche dai cinque uomini incarcerati in detenzione amministrativa (e cioè senza accuse formali) – Thaer Halahla, Bilal Diab, Jaafar Izz Addin, Omar Shalal e Hasan Safadi – che avevano iniziato questa estrema forma di protesta per primi (Halahla e Diab rifiutavano il cibo da 77 giorni). I cinque hanno ottenuto l’assicurazione che saranno rimessi in libertà allo scadere dei termini, di qui a poche settimane. Come già avvenne con Khader Adnan, le autorità israeliane si sono impegnate a non prorogare ulteriormente gli arresti (come potrebbero fare e hanno fatto molte volte nei casi di detenzione amministrativa).
I responsabili del sistema penitenziario israeliano ci hanno tenuto a sottolineare che durante tutta la durata dello sciopero della fame, i prigionieri coinvolti sono stati trattati in base agli standard internazionali e assistiti dal personale sanitario.