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Quelle lettere che spartiamo con Dio

Giampiero Sandionigi
18 giugno 2012
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Quelle lettere che spartiamo con Dio

Da qualche settimana è in libreria un libro coloratissimo dell’editore Salani. Si intitola Alfabeto ebraico. Storie per imparare a leggere la meraviglia del mondo e nasce dalla collaborazione tra Matteo Corradini e Grazia Nidasio. Il volume è come un gioco che da ogni lettera dell’alfabeto ebraico trae una storia che stimoli la fantasia dei giovani lettori. Ma, forse, pagine come queste sanno dire qualcosa anche a chi bimbo non è più, come ci spiega uno degli autori.


Da qualche settimana è in libreria un libro coloratissimo dell’editore Salani. Si intitola Alfabeto ebraico. Storie per imparare a leggere la meraviglia del mondo e nasce dalla collaborazione tra Matteo Corradini e Grazia Nidasio. Corradini è specializzato in lingua ebraica, didattica e letteratura (non solo) per ragazzi. Grazia Nidasio, che cura la parte iconografica del volume, è un astro nel firmamento italiano dell’editoria per i più piccoli. Nella sua lunga carriera di vignettista e illustratrice ha ricevuto numerosi riconoscimenti e collaborato con testate prestigiose e grandi reti televisive.

Questo per dire che le premesse per un libro di qualità ci sono tutte.

Il volume è come un gioco che passa in rassegna tutte le lettere dell’alfabeto ebraico e da ciascuna si lascia raccontare una breve storia capace di stimolare la fantasia e la curiosità dei giovani lettori.

Abbiamo chiesto a Matteo Corradini cosa l’abbia indotto a proporre a un pubblico di bambini italiani, non necessariamente di cultura ebraica, di accostarsi a un alfabeto tanto antico.

«Il libro – ci spiega – è pensato per i ragazzi ma è rivolto a tutti, in realtà. Quando mi sono accostato all’alfabeto ebraico pensando di “raccontarlo”, ho capito che avrei dovuto fare un passo indietro. L’alfabeto ebraico, più che di essere letto, chiede di essere guardato. La forma delle lettere ispira. Cinquemila anni fa (giorno più, giorno meno), scrivere significava disegnare. Poi è arrivato l’alfabeto, che è un disegno che ha dimenticato cosa rappresenta. E con l’alfabeto sono nate le parole, che a loro volta tornano ad essere cose del mondo, ancora da disegnare; è come un cerchio che si chiude».

Corradini è convinto che le sue storie ispirate all’alfabeto ebraico possano essere eloquenti per i ragazzi di qualsiasi religione. Gli piacerebbe che «il libro lasciasse più domande che risposte». «Per me – dice – è stato così: quando ho finito di scriverlo, ho scoperto felicemente che, dentro di me, avevo molti più interrogativi di quando lo avevo cominciato».

Chi, come noi, non è più un bimbo, con il proprio alfabeto ha un rapporto utilitaristico e di lunga consuetudine. Nell’arco di una vita, ciascuno mette al mondo milioni di parole che danno corpo a pensieri ed emozioni. Forse un libro come questo ci stimola a soffermarci per un attimo con gratitudine e nuovo stupore verso quelle nostre piccole alleate che formano gli alfabeti.

Matteo Corradini, per parte sua, si esprime così: «Nella mistica ebraica si dice che il Signore creò il mondo guardando attraverso le lettere della Torah. Questa intuizione mi regala soprattutto due pensieri: il primo è che le parole esistessero prima di tutto. Il secondo è che l’alfabeto sia qualcosa di leggero e quasi trasparente: non ci preclude la vista, non chiude il nostro sguardo, ma anzi lo induce in tentazione. E, visto che è trasparente, lo immagino fragile. È un paradosso: è qualcosa di antico e per certi versi universale, e insieme è fragile. Forse perché l’alfabeto è un po’ del Creatore e un po’ nostro. E come ogni cosa che spartiamo col Signore, condivide con noi la nostra fragilità».

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