Un edificio di quattro piani sopra un’area archeologica a venti metri dalle mura di Gerusalemme, proprio tra il Muro Occidentale e il parco archeologico dell’Ir David, la Città di Davide, è il nuovo fronte della discordia nella guerra degli archeologi a Gerusalemme. Che in queste settimane - peraltro - è tornata a infiammarsi anche per i lavori di consolidamento della Cupola della Roccia...
Un edificio di quattro piani sopra un’area archeologica a venti metri dalle mura di Gerusalemme, proprio tra il Muro Occidentale e il parco archeologico dell’Ir David, la Città di Davide. Si chiamerà Kedem Center ed è il nuovo fronte della discordia nella guerra degli archeologi a Gerusalemme. Che in queste settimane – peraltro – è tornata a infiammarsi anche per i lavori di consolidamento della Cupola della Roccia condotti dal Waqf (l’ente musulmano che gestisce i luoghi santi) e contestati da alcune associazioni israeliane per le modalità con cui verrebbero realizzati.
Partiamo dal Kedem Center che – in realtà – è una vecchia conoscenza: l’area in questione è infatti quella del Givati Parking, subito fuori dalla Porta dell’Immondezzaio (Dung Gate), adiacente al Muro occidentale, e da anni al centro delle polemiche per gli scavi condotti a scapito del vicino quartiere arabo di Silwan. Terminati gli scavi nell’area del parcheggio, puntuale qualche mese fa è arrivato alla commissione urbanistica della municipalità di Gerusalemme il progetto di cui si parlava fin dall’inizio: quello per la costruzione di un centro visitatori/museo che dovrebbe sorgere accanto al vicino parco archeologico dell’Ir David, quello dove secondo gli studi dell’archeologa Eilat Mazar sarebbe venuto alla luce l’antico palazzo del re Davide. Il progetto è da sempre nel mirino di Emek Shaveh – l’associazione di archeologi israeliani che contesta la politicizzazione degli scavi – perché gestito direttamente da Elad, un’associazione culturale legata agli stessi movimenti della destra religiosa che vorrebbero ritrasformare Silwan nell’ebraica Siloe, cacciando gli arabi dalle case dove abitano.
Nel febbraio scorso il progetto del Kedem Center – di cui ora esistono anche i plastici – ha avuto il via libera dalla municipalità di Gerusalemme. E allora, in un estremo tentativo di fermare i lavori, Emek Shaveh si è appellata all’Unesco chiedendo un intervento urgente. L’iniziativa fa leva sul fatto che l’edificio sorgerebbe sopra un’area che si è rivelata ricca di testimonianze delle diverse epoche della storia di Gerusalemme. Inoltre gli archeologi di Emek Shaveh sostengono che il nuovo centro – data la sua vicinanza alle mura che, con tutta la Gerusalemme vecchia, dal 1981 sono considerate Patrimonio dell’Umanità in pericolo – cambierebbe radicalmente il modo di accostarsi a questo bene storico (anche se va aggiunto che, essendo il Givati Parking su un livello molto più basso della collina, i quattro piani dell’edificio non andrebbero comunque a interferire sulla vista delle mura). Infine puntano il dito su una coincidenza un po’ imbarazzante per l’Unesco: il progettista del nuovo edificio è proprio il presidente del Comitato israeliano per la tutela dei siti Patrimonio dell’umanità.
Intanto, però, poco lontano ci sono anche altri lavori al centro delle discussioni: quelli di manutenzione straordinaria portati avanti dal Waqf, l’ente musulmano che sovrintende ai luoghi santi islamici. Un’altra associazione – questa volta legata alla destra religiosa – ha presentato una petizione d’urgenza alla Corte suprema accusando il governo israeliano di non fare abbastanza per prevenire possibili danni alla Foundation Stone, la pietra sulle cui fondamenta poggia la Cupola della Roccia che è la stessa sulla quale secondo gli ebrei poggerebbe l’Arca dell’Alleanza. L’iniziativa è stata contestata dall’avvocatura generale dello Stato di Israele, secondo cui tutti i lavori avvengono sotto un accurato controllo e i contestatori sono stati definiti solo «gente che vuole fare rumore inutilmente ».
Più seria appare invece una contestazione mossa da Leen Ritmeyer, un archeologo olandese che conosce molto bene il Monte del Tempio per avervi lavorato insieme a Benjamin Mazar, il padre dell’archeologa dell’Ir David che fu il primo a scavare l’area dopo il 1967. Ritmeyer contesta il fatto che nella riparazione di alcune crepe nel Muro Meridionale (quello sotto la moschea di Al Aqsa, che fa angolo con il Muro del Pianto) il Waqf abbia utilizzato cemento comune anziché un materiale ad hoc. «La prima cosa che mi hanno insegnato – racconta – è che in un restauro di mura antiche non si usa mai cemento comune, perché non permette alle pietre di respirare e c’è il rischio di cedimenti. Con questo intervento il Waqf ha messo una bomba a orologeria sotto la spianata». Ritmeyer ha pubblicato anche alcune foto che mostrano gli effetti di infiltrazioni d’acqua avvenute dopo l’intervento del Waqf. Se le sue fosche previsioni dovessero rivelarsi fondate diventerebbe la tragica dimostrazione dei danni provocati dall’ideologizzazione dell’archeologia che rende impossibile la cooperazione in un contesto unico come quello di Gerusalemme.
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Clicca qui per leggere la scheda sul progetto contro il quale Emek Shaveh si è appellata all’Unesco
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Clicca qui per leggere il post sul cemento nel blog di Ritmeyer