Anche i Paesi arabi in questi giorni sono con gli occhi incollati al televisore per seguire i Giochi olimpici. Londra 2012 è l'Olimpiade del dopo Primavera araba. E così - spigolando tra le notizie olimpiche - ne abbiamo scovate tre che forse si possono considerare una fotografia efficace del momento che il mondo arabo sta vivendo.
Anche il mondo arabo in questi giorni è con gli occhi incollati al televisore per seguire le Olimpiadi. E qualche giorno fa Terrasanta.net sottolineava già la concomitanza con il Ramadan e alcuni altri aspetti importanti sugli atleti provenienti da questa regione del mondo. Ma Londra 2012 è anche l’Olimpiade del dopo primavera araba. E così – spigolando tra le notizie olimpiche – ne ho scovate tre che secondo me si possono considerare una fotografia efficace del momento che il mondo arabo sta vivendo.
La prima riguarda i social network, di cui tanto si è parlato riguardo a quanto accaduto in questo ormai anno e mezzo di rivolte: inizialmente li si è caricati forse anche troppo di significati; poi, però, si è passati all’estremo opposto sostenendo che dietro alle piazze ci fosse ben altro. A mio parere sono entrambi atteggiamenti sbagliati: i social network – pur non avendo poteri magici – restano un elemento importante dei cambiamenti in atto. E allora vale la pena di segnalare che in queste ore sono inondati di notizie e commenti sui risultati degli atleti arabi ai giochi. Il dato più interessante mi sembra l’iniziativa di un blogger palestinese – Maath Musleh – che su Twitter ha lanciato l’hastag OlympicsArab: con certosina pazienza sta seguendo tutte le gare di tutti gli atleti arabi in tutti gli sport in cui sono impegnati e ne dà conto praticamente in tempo reale. L’iniziativa sta raccogliendo un certo successo. Questa insistenza non semplicemente sui beniamini dei singoli Paesi, ma sulla comunità araba nel suo complesso non è affatto scontata: prima della scintilla partita dalla Tunisia nel dicembre 2010 sarebbe stata impensabile.
È tornata in auge – dunque – l’identità araba. Ma questo non basta a cancellare d’incanto i suoi difetti, primi tra tutti il caos e l’improvvisazione. In questo caso la quintessenza di questi atteggiamenti pare essere andata in scena a Londra sulla pedana del sollevamento pesi nella categoria uomini 56 chilogrammi. C’era un atleta tunisino – Khalil El-Maoui – che dopo le qualificazioni era al secondo posto e quindi avrebbe avuto buone possibilità di medaglia. Ma in finale è stato disastroso. Perché? Sembra che il suo allenatore abbia sbagliato a comunicare alla giuria il peso che secondo le tabelle prestabilite lui avrebbe dovuto sollevare. E così il povero Khalil El-Maoui si sarebbe trovato davanti 158 chilogrammi al posto di 148. Mandando così in fumo per Musleh il sogno della prima medaglia araba da twittare.
Caos e improvvisazione nel mondo arabo fanno, però, da sempre il paio con l’arte di arrangiarsi. E allora ecco la storia del Comitato olimpico egiziano che – con una rappresentativa comunque nutrita – ha provato a tagliare le spese procurandosi divise e materiale tecnico a prezzo di favore da un rivenditore un po’ così. Il risultato? Gli atleti egiziani sono imbufaliti perché si vede lontano un miglio che è roba taroccata: le borse – tanto per fare un esempio – sono sì uguali a quelle della Nike, ma sulle cerniere c’è scritto Adidas. Ne è nato un grosso scandalo al Cairo e adesso la Nike vera si è offerta per mettere a posto le cose. Chissà che non vada a finire così anche per qualche surrogato di democrazia, assemblato forse un po’ troppo alla buona in questi mesi dall’altra parte del Mediterraneo…
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