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Un ricordo del patriarca ortodosso etiope abuna Paulos

Giuseppe Caffulli
27 agosto 2012
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Un ricordo del patriarca ortodosso etiope <i>abuna</i> Paulos
Il defunto patriarca della Chiesa ortodossa etiopica abuna Paulos.

Si sono svolti il 23 agosto, sotto un cielo a tratti piovoso, presso la cattedrale della Santa Trinità, ad Addis Abeba, i funerali del patriarca della Chiesa ortodossa etiopica abuna Paulos, scomparso pochi giorni prima (il 16) all'età di 78 anni. Un breve ricordo del pastore di una delle comunità ecclesiali più antiche del mondo cristiano.


(Milano) – Si sono svolti il 23 agosto, sotto un cielo a tratti piovoso, presso la cattedrale della Santa Trinità, ad Addis Abeba, i funerali del patriarca della Chiesa ortodossa etiopica abuna Paulos, scomparso pochi giorni prima (il 16) all’età di 78 anni.

Al termine del rito funebre molti fedeli hanno voluto rendere omaggio anche al feretro del primo ministro Meles Zenawi, morto il 20 agosto, a 57 anni, a causa di un’infezione, stando ai comunicati ufficiali. Zenawi, uomo forte in Etiopia, era al potere ininterrottamente dai primi anni Novanta (prima come capo dello Stato e dal 1995 come capo del governo). Le sue esequie sono previste per il 2 settembre.

Zenawi e abuna Paulos sono stati, rispettivamente, ai vertici dello Stato e della Chiesa d’Etiopia nello stesso arco di tempo e quasi simultaneamente sono usciti di scena.

Tigrino di nascita, abuna Paulos aveva studiato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Incarcerato per otto anni durante il regime militare di stampo marxista di Menghistu Haile Mariam, era stato ordinato vescovo nel 1986 ed eletto patriarca nel 1992.

Nei suoi vent’anni di governo pastorale ha cercato di aprire una delle comunità ecclesiali più povere e tradizionaliste all’ecumenismo e al dialogo con le altre Chiese cristiane, partecipando ai grandi raduni interconfessionali e lavorando negli organismi ecumenici internazionali. Recentemente Paulos aveva visitato anche Gerusalemme e la Terra Santa, a cui l’Etiopia cristiana è legata da un rapporto speciale (la famiglia reale etiopica vantava una discendenza salomonica). Nell’apprendere la notizia della morte del patriarca Paulos, anche Benedetto XVI ha avuto parole di cordoglio, ricordandone le visite in Vaticano, il discorso pronunciato il 6 ottobre 2009 durante il secondo del Sinodo dei vescovi per l’Africa e «l’impegno fermo nel promuovere una più grande unità attraverso il dialogo e la cooperazione» tra ortodossi etiopi e cattolici.

Io stesso ebbi modo di incontrare il patriarca Paulos a Milano nel 2005, durante uno degli incontri di dialogo promossi dalla Comunità di Sant’Egidio. Mi concesse un’intervista, poi pubblicata sul mensile Mondo e Missione, nella quale mi descrisse in sintesi la situazione della sua Chiesa.

«La nostra Chiesa – spiegava – ha conosciuto svariati problemi nel corso dei secoli. Durante le diverse dominazioni ha sofferto molto, perché è diventata il bersaglio del potere di turno. Oggi viviamo un periodo di sostanziale tranquillità. Il governo attuale ha imboccato la strada della democrazia e questo atteggiamento si riflette positivamente anche nelle relazioni con la Chiesa. Sotto il regime comunista (durato dal 1977 al 1991 – ndr), il popolo ha sopportato, insieme a molte altre vessazioni, anche la proibizione di partecipare alla vita della Chiesa. Ora invece si assiste a un risveglio della frequenza alle celebrazioni e dell’interesse per la religione, specie nei giovani».

Il patriarca guardava anche serenamente al rapporto, non sempre facile, con la componente islamica della società… «La comunità musulmana – osservava – è presente nel Paese da moltissimo tempo. Nel passato non ci sono stati conflitti né con i musulmani né con altre confessioni religiose. Da noi l’atteggiamento complessivo della Chiesa ortodossa nei confronti delle altre religioni è sempre stato di tolleranza. Anche i re d’Etiopia hanno sempre mostrato benevolenza nei confronti dei musulmani. Oggi nel Paese la situazione dell’Islam è cambiata rispetto al passato, ma questo è un aspetto accomuna diversi contesti. Ho visto una grande moschea a Roma, ci sono molte moschee in Germania, in Gran Bretagna e in Francia, dove l’Islam è ormai la seconda religione. L’Islam è cambiato, si sta diffondendo ovunque e sta rivendicando spazi. E questo fenomeno di espansione è legittimo. Bene, il mondo è di tutti. Ma proprio perché è di tutti, dobbiamo cercare di vivere insieme. Vorrei che gli organismi internazionali, e l’Onu in prima battuta, non perdessero l’occasione di proporre politiche d’inclusione sociale e di lotta alla povertà, capaci di togliere terreno fertile al fondamentalismo e di offrire a tutti delle opportunità di vita, in modo che insieme si possa costruire una convivenza pacifica».

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