Nel pomeriggio di sabato, 25 mila giovani hanno affollato il piazzale antistante la residenza del patriarca maronita per incontrare Benedetto XVI e presentargli le loro speranze e i loro sogni. Il Papa li ha esortati a percorrere la via dell'impegno e a non lasciare la loro terra. Parole di incoraggiamento per i giovani siriani e il loro popolo.
(Beirut) – «Questi giovani sono assetati di speranza. Aspirano a una vita di pace, diritti e stabilità per potersi realizzare nei loro Paesi ed evitare l’emigrazione… Ora attendono con ansia e riconoscenza la vostra parola illuminante». In questo modo il patriarca dei maroniti, mons. Bechara Rai, ha accolto ieri pomeriggio Benedetto XVI, al suo arrivo nel piazzale della residenza patriarcale di Bkerke, stipato di giovani provenienti da tutto il Libano, ma anche – attraverso viaggi in alcuni casi avventurosi – da Iraq, Siria, Giordania, Palestina e Cipro. E da subito è stato chiaro quale fossero il timore e la speranza da comunicare al Papa, portati nel cuore dal patriarca e da tutti i 25 mila ragazzi e ragazze presenti: il timore di vedere l’ennesima generazione di giovani cristiani mediorientali costretta ad emigrare, a causa della guerra e dei fondamentalismi; e, al tempo stesso, la speranza di invertire la rotta e trovare forze e motivi per restare nella propria terra, nonostante tutto.
L’incontro dei giovani con Benedetto XVI a Bkerke è stato però, innanzitutto, un momento di festa e preghiera. Il grande palco allestito alle spalle dell’edificio in pietra rosa del patriarcato è denso di simboli, invisibili forse ad occhi occidentali: alle spalle del Pontefice è riprodotta l’icona di Nostra Signora di Qannoubine, una delle più antiche icone della tradizione siriaca; sulle colonne del palco appositamente allestito sono appese tutte le croci della tradizione mediorientale: la maronita, l’armena, la latina, la greca bizzantina, la caldea e la croce siriaca. In mezzo, il trono di Pietro: a indicare che il Papa si siede di diritto al centro di tutte le Chiese cattoliche mediorientali. E, al lato del palco, due ulivi centenari ad indicare il radicamento dei ragazzi e delle ragazze nella loro terra.
Il Papa è atteso alle sei di sera, ma già alle tre del pomeriggio i cancelli del patriarcato vengono chiusi per motivi di sicurezza: chi è fuori è fuori, chi è dentro è dentro. Ai giovani che sono riusciti a entrare viene consegnata una sacca con acqua e uno spuntino, un cappello (essenziale!) e delle bandiere del Libano e del Vaticano. Ma anche il Nuovo Testamento e YouCat, la versione sintetica, destinata espressamente ai giovani di tutto il mondo, del catechismo della Chiesa cattolica, ovviamente in arabo.
Nelle ore di attesa sotto il sole cocente si esorcizza la calura cantando e ballando. È un continuo susseguirsi di cori, complessi di vari generi musicali e slogan da stadio inneggianti il Papa, interrotti da reportage e interviste ai giovani cristiani del Medio Oriente trasmessi sui megaschermi di fianco al palco. Poco prima delle sei le campane del patriarcato iniziano a suonare a distesa e il rumore della folla diventa un’ovazione. I maxischermi, come in un gran premio, riprendono l’arrivo della papamobile sui tornanti della collina di Bkerke. E quando l’auto bianca del Papa varca il cancello, la gioia sul piazzale esplode; tanto che ad abuna Faty, il sacerdote responsabile della pastorale giovanile maronita, che fino a quel momento aveva condotto al microfono i cori come un ultrà, si secca la voce dall’emozione.
Oltre al patriarca, il compito di salutare il Papa è affidato a due giovani: un ragazzo, Roy Jreich, e una ragazza, Rania Abou Chacra. Tutti e tre presentano a Benedetto XVI la prospettiva indesiderata dell’emigrazione. «Noi giovani vogliamo rimanere in Medio Oriente – dice Rania -. Vogliamo la pace e vogliamo restare qui a costruire la civiltà dell’amore con i nostri fratelli di altre religioni». «Noi giovani vogliamo testimoniare quel che abbiamo vissuto – continua Roy -, ma abbiamo bisogno che la Chiesa ci accompagni, come ha fatto Gesù con i suoi discepoli. (…) Noi giovani crediamo nell’unità della Chiesa e la manifestazione d’affetto verso il Papa data in questa occasione è la manifestazione di un’unità possibile».
Viene poi proclamato un brano del Vangelo di Giovanni (cap. 3, versetti 11-21): «Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo figlio unico»). Lo canta in arabo, alla maniera maronita, un diacono. Nella sua omelia, il Papa affronta due punti principali: innanzitutto svolge una catechesi ai giovani, quasi a prescindere dalle loro origini mediorientali, ammonendoli a non smarrire lo specifico della gioventù: ovvero l’aspirare a grandi ideali e il prepararsi a realizzarli. Evitando di perdersi nelle nuove tecnologie (che facilmente portano alla dipendenza e a una confusione tra mondo reale e mondo virtuale), nella pornografia, dietro ai soldi (un idolo tirannico che distrugge la persona e il suo cuore). Cercando invece buoni maestri, vedendo tutti gli uomini come fratelli, perdonando (cosa non è facile), facendo la volontà di Dio e seguendo la propria chiamata (che farà loro conoscere una gioia e una pienezza insospettata).
Il secondo punto, invece, è proprio il tema tanto caro al patriarca Rai e a tutte le Chiese locali: l’emigrazione dei giovani, che potrebbe portare tra non molti anni a un Medio Oriente senza la presenza cristiana. «Cari amici, voi vivete in quella parte del mondo in cui è nato Gesù e da cui si è diffuso il cristianesimo. È un grande onore! – ha osservato il Papa -. Conosco le vostre difficoltà quotidiane, la mancanza di stabilità e di sicurezza, la difficoltà di trovare un lavoro e un sentimento di solitudine ed emarginazione. In un mondo in continuo movimento, dovete confrontarvi con molte sfide. Ma la disoccupazione e la precarietà non vi devono indurre a gustare il “miele amaro” della emigrazione, con lo sradicamento e la separazione in cambio di un avvenire incerto. Potete essere i protagonisti dell’avvenire dei vostri Paesi e avere un ruolo significativo nella società e nella Chiesa».
Ratzinger si è rivolto espressamente anche ai giovani siriani: «Vi voglio dire quanto ammiri il vostro coraggio. Tornati a casa, dite alle vostre famiglie e ai vostri amici, che il Papa non vi dimentica. Non dimentica la Siria nelle sue preghiere e preoccupazioni. Non dimentica il Medio Oriente sofferente. È tempo che musulmani e cristiani si uniscano per mettere fine alla violenza e alle guerre».
Il Papa si è rivolto infine ai giovani musulmani presenti a Bkerke: «Vi ringrazio per la vostra presenza che è così importante. Voi siete, assieme ai giovani cristiani, l’avvenire di questo meraviglioso Paese e del Medio Oriente. Cercate di costruirlo insieme! E quando sarete adulti, continuate a vivere in concordia e unità coi cristiani. Perché la bellezza del Libano si trova in questa unione».
Dopo la recita del Padre nostro e la benedizione, il Papa se n’è andato tra due ali di folla. La gente torna a casa. Domenica mattina l’appuntamento è per la Messa sul lungomare di Beirut.