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La Santa Sede per un Libano stabile e dialogante

Carlo Giorgi
27 novembre 2012
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La Santa Sede per un Libano stabile e dialogante
Il presidente libanese Michel Sleiman ricevuto dal Papa il 23 novembre scorso in Vaticano.

La stabilità del Libano come pilastro della pace in Medio Oriente. È la prospettiva che ispira la diplomazia vaticana alla luce dell'incontro avvenuto lo scorso 23 novembre, a Roma, tra Benedetto XVI e il presidente libanese, Michel Sleiman. L'incontro si è svolto il giorno prima del concistoro in cui il Pontefice ha creato sei nuovi cardinali, tra cui anche il patriarca maronita Bechara Rai.


(Milano) – La stabilità del Libano come pilastro della pace in Medio Oriente. Sembra questa la direzione in cui si sta muovendo la diplomazia vaticana alla luce dell’incontro avvenuto lo scorso 23 novembre, a Roma, tra Papa Benedetto XVI e il presidente della Repubblica Libanese, Michel Sleiman. L’incontro si è svolto il giorno prima del concistoro in cui il Pontefice ha creato sei nuovi cardinali, tra cui anche il patriarca maronita Bechara Rai, uomo chiave per la stabilità del Paese dei cedri. Solo dieci giorni prima, il 14 novembre, Ratzinger aveva incontrato in Vaticano Saad Hariri, ex premier libanese, sunnita e leader politico della Coalizione 14 marzo, oggi all’opposizione. Hariri vive in condizioni di massima sicurezza per paura di attentati (il padre Rafic, anche lui ex primo ministro, venne assassinato con un’auto bomba a Beirut nel febbraio 2005) e non ha potuto per questo incontrare il Papa nel corso del pellegrinaggio di Benedetto XVI a Beirut, lo scorso settembre.

Due incontri con leader politici libanesi di primo piano, in meno di due settimane, sembrano sottolineare l’urgenza e l’attenzione riservata dal Papa al Libano, Paese del Medio Oriente che vanta la più alta percentuale di cristiani (circa il 35 per cento della popolazione) e che, d’altra parte, rischia concretamente di scivolare nel baratro della violenza.

La guerra in atto nella vicina Siria, infatti, ha inevitabilmente trasmesso al Libano tensioni che mettono a rischio la convivenza civile: ad oggi sono oltre 120 mila i profughi siriani registrati ufficialmente in Libano; secondo alcuni, però, potrebbero essere molti di più, forse cinquecentomila, un numero impressionante se rapportato ai 4 milioni di cittadini libanesi. La situazione è aggravata dal fatto che i profughi non risiedono in campi organizzati; poiché il Libano vede i campi come un «problema» da evitare, alla luce dell’esperienza fallimentare dei campi profughi palestinesi presenti in territorio libanese da decine di anni e spesso fonte di tensioni, povertà e violenza. Così i profughi siriani invece oggi sono ospitati in modo precario, presso famiglie di parenti o di appartenenti alla stessa comunità religiosa. Lungi dall’essere ideale, questa situazione sta contribuendo, settimana dopo settimana, ad esasperare le tensioni settarie e politiche del Paese: nella città costiera di Tripoli, ad esempio, dove convivono – in modo analogo a quanto avviene nella vicina Siria  – cittadini sunniti ed alawiti, negli ultimi mesi si sono contate decine di morti negli scontri tra la fazione alawita favorevole a Bashar al Assad, e la fazione sunnita, contraria al presidente siriano.

Lo scorso 19 ottobre, poi, a Beirut è stato assassinato Wissam al-Hasan, sunnita e responsabile dei servizi segreti libanesi, vicino alla Coalizione 14 marzo. Per eliminarlo è stata fatta esplodere un’auto bomba nei pressi della sua residenza, ad Achrafieh, uno dei quartieri cristiani di Beirut. L’ordigno devastante ha causato sette morti e 80 feriti, riportando il Libano a un clima da guerra civile che non si respirava più da anni. Dopo l’assassinio di al Hasan, l’opposizione libanese ha iniziato a chiedere con forza le dimissioni del governo, con il grande timore da parte di tutti che queste proteste potessero sfociare nella violenza civile, generando una catena di vendette difficili da arginare.

Nel corso del suo incontro con il presidente Sleiman, Papa Benedetto ha esortato i partiti in conflitto in Libano a sostenere la stabilità e il dialogo, come strumento per risolvere la crisi politica in atto e perché il Paese possa rimanere un modello di diversità. Lunedì 26, inoltre, nell’incontro di commiato con il neo cardinale Bechara Rai, Ratzinger ha lanciato un nuovo appello per la pace in Medio Oriente: «La Chiesa incoraggia tutti gli sforzi per la pace nel mondo e in Medio Oriente – ha affermato il Papa –, una pace che sarà concreta solo se basata sul rispetto autentico per tutti i popoli». Parlando ai pellegrini libanesi venuti in Vaticano per il concistoro, il Papa ha poi aggiunto: «In particolare desidero incoraggiare la vita e la presenza dei cristiani in Medio Oriente, dove devono essere messi in grado di vivere la loro fede liberamente, e desidero lanciare ancora una volta un pressante appello per la pace nella regione».

La nomina a cardinale del patriarca Rai va letta anche come un sostegno esplicito del Vaticano al lavoro e all’impegno al dialogo che la Chiesa maronita sta realizzando tra le differenti componenti della società libanese. Significativo in questo senso anche il fatto che sabato 24 fossero presenti alla celebrazione del concistoro una delegazione del partito di Saad Hariri composta dai parlamentari sunniti Samir Jisr e Hadi Hobeish, una delegazione del partito sciita Hezbollah, guidata dal parlamentare Ali Fayyad, oltre a rappresentanti della presidenza del consiglio libanese, del presidente del senato Nabih Berri e dello storico leader socialista libanese Walid Jumblatt.

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