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Non solo per molti cistiani palestinesi, ma anche per gran parte dei lavoratori cristiani immigrati in Israele, la città del Natale non è una meta facile da raggiungere.

Betlemme. Così vicina, così lontana

fra Alberto Joan Pari ofm, Giaffa
28 novembre 2012
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Betlemme. Così vicina, così lontana
Giorgione, Adorazione dei pastori, National Gallert of Art, Washington D.C.

«È degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo Francesco realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore (…) Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, chiamò a sé un amico fidato e gli disse: “Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello” (…)». Con queste parole viene raccontato un Natale festeggiato a Greccio da San Francesco, passo che possiamo leggere nelle Fonti Francescane nella prima biografia del Celano. Si tratta del testo che probabilmente dà fondamento alla tradizione che attribuisce al Santo di Assisi la prima rappresentazione sacra del Natale di Betlemme e l’invenzione del presepio. A malincuore, siamo sprovvisti di documenti che attestino se Francesco sia riuscito a visitare Betlemme durante il suo viaggio in Terra Santa nel 1219, e per questo motivo è ancora più fondata l’ipotesi per cui il Santo volesse ricostruire una Betlemme, non visitata e non visitabile a Natale, in un luogo raggiungibile da molti, come lo era Greccio per i più semplici contadini e paesani del circondario.

Anche in Terra Santa accade qualcosa di simile… Sebbene Betlemme, la vera città testimone dell’evento più importante della nostra storia cristiana, esista e sia visitabile, purtroppo per vari motivi, non per tutti può rappresentare la meta di pellegrinaggio nel periodo natalizio, neppure per molti che vivono e lavorano in Israele. Nella chiesa di San Pietro a Giaffa convivono diverse comunità cattoliche: quella latinoamericana, quella di lingua inglese formata per la maggior parte da lavoratori filippini, quella polacca e quella di lingua ebraica. Quando inizia l’Avvento e il periodo natalizio tutto cambia, il convento si riveste di festa e assume molti aspetti culturali caratteristici dei tanti Paesi da cui provengono i vari parrocchiani, è un’atmosfera molto speciale e direi unica. I bambini della comunità latinoamericana imparano i canti festosi in spagnolo e per la novena di Natale ogni giorno vengono a pregare con i genitori e i loro catechisti e concludono la serata con una rappresentazione sacra detta la posad.

I bambini della comunità ebreofona imparano canti tradizionali e fanno le prove per la recita della notte di Natale, si vedono costumi di angioletti, pastori e pecorelle e tutto avviene in una lingua così particolare come è l’ebraico moderno. È il Natale degli immigrati e delle famiglie dei tanti lavoratori che compongono il complicato e bellissimo mosaico che è la società israeliana.

Per molti di loro è quasi impossibile recarsi a Betlemme per le feste, sia perché come residenti in Israele non possono attraversare facilmente il confine con i territori palestinesi, sia perché in tanti lavorano seguendo il calendario ebraico, nel quale le feste cristiane raramente coincidono con quelle ebraiche.

La città di Tel Aviv è affollata da persone che per cercare un avvenire migliore hanno lasciato le loro terre. E la zona della stazione centrale della città è diventata il loro punto di riferimento per il commercio e il ritrovo. A Natale sembra di essere in una città totalmente cristiana: si possono trovare alberi di Natale di ogni dimensione e colore, decorazioni e lucine, addobbi e regali tipicamente natalizi… È il regno di filippini e indiani e per un cristiano che abita in Terra Santa, abituato a dover vivere la propria fede in modo privato e a volte segreto, trovarsi immersi nell’atmosfera natalizia fa un effetto bellissimo che allarga il cuore e fa sentire a casa.

Così nel nostro piccolo, anche noi riviviamo l’esperienza che san Francesco sentì il bisogno di realizzare: vedere con gli occhi del corpo e non solo con quelli del cuore quel che avvenne in quella notte speciale e santa che fu il Natale del Signore. Anche noi allestiamo nel modo che più ci ricorda la nostra famiglia e le nostre tradizioni un angolo sacro, un presepio, per rendere speciale la notte delle notti, per rivivere il mistero di un bambino nato per noi.

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