Le dimissioni del Papa e la stagione che si apre portano necessariamente la Chiesa a verificarsi sul proprio cammino. In questo spirito può essere interessante riprendere due voci che arrivano dall'Oriente, regione del mondo in cui proprio in questi mesi le comunità cristiane hanno vissuto importanti avvicendamenti. Le due voci non parlano del gesto di Benedetto XVI - sono state raccolte prima - ma ci aiutano a guardare a quel discernimento sul volto del cristianesimo oggi a cui l'imminente Conclave ci chiama.
Le dimissioni del Papa e la stagione che si apre portano necessariamente la Chiesa a verificarsi sul proprio cammino. In questo spirito può allora essere interessante riprendere due voci che arrivano dall’Oriente, regione del mondo in cui proprio in questi mesi le comunità cristiane hanno vissuto importanti avvicendamenti. Due voci che non parlano ancora del gesto di Benedetto XVI – sono state raccolte prima – ma che ci aiutano comunque a guardare con uno sguardo un po’ più ampio a quel discernimento sul volto del cristianesimo oggi nel mondo a cui l’imminente Conclave ci chiama.
La prima voce è quella del nuovo papa dei copti Tawadros II che – a due mesi dalla sua elezione – ha rilasciato nei giorni scorsi una lunga intervista a tutto campo al settimanale Watani. Il dialogo prende le mosse dall’impegnativo slogan programmatico che Tawadros si era dato appena scelto: quello di «rimettere la casa in ordine». Il giornalista gli chiede come stia andando questo lavoro e il papa copto prova a fare il punto in una maniera molto concreta: parla dei cambiamenti introdotti nella sua curia, dell’istituzione di un responsabile per le comunità della diaspora (il vescovo copto di Milano anba Kyrillos), di un importante incontro sul futuro del monachesimo copto tenuto nel monastero di Anba Bishoi («non possiamo dimenticare che il monachesimo è un pilastro della Chiesa copta»), del ruolo dei laici all’interno di questa Chiesa orientale.
Quando parliamo della questione dei copti in Egitto corriamo sempre il rischio di schiacciare immediatamente il discorso sul piano politico, fermandoci solo al problema dei rapporti con gli islamisti. Sia chiaro: la sfida di come porsi davanti all’Islam radicale in Egitto oggi esiste eccome. Ma per affrontarla sul serio – sembra dire Tawadros – non basta un surplus di orgoglio identitario; serve una comunità cristiana viva, capace anche di confrontarsi con le sfide della modernità, sapendo essere in questo modo segno pure per il resto del Paese. Da questo punto di vista – ad esempio – è molto interessante l’annuncio che dal 18 al 20 febbraio la Chiesa copta terrà un suo secondo seminario, dedicato questa volta al tema del diritto canonico della famiglia. La questione è estremamente calda, perché secondo l’ordinamento egiziano per i suoi fedeli la Chiesa copta ha giurisdizione piena per tutto ciò che riguarda il diritto di famiglia. E non manca neppure qui chi (in realtà una minoranza) chiede alla Chiesa un’apertura rispetto al tema delle separazioni. Difficilmente questo succederà. Ma il fatto stesso di tornare a riflettere su che cos’è la famiglia in una società come quella egiziana, scossa oggi da venti tra loro contrapposti, può diventare un fatto molto importante.
Non da un’altra confessione cristiana ma da una Chiesa d’Oriente in comunione con Roma viene invece l’altra voce che vogliamo rilanciare: è quella del nuovo patriarca dei caldei Louis Raphael I, eletto pochi giorni fa. Mi pare di vedere un filo rosso importante tra alcune sue prime dichiarazioni riportate in un articolo pubblicato sul sito di Al Monitor e l’atteggiamento di Tawadros. Intanto c’è l’annuncio che l’insediamento avverrà a Baghdad il 6 marzo (l’articolo risale a prima delle dimissioni di Benedetto XVI e dell’indizione del Conclave, ma non essendo il nuovo patriarca un cardinale è probabile che la data venga confermata). Louis Raphael I, però, annuncia subito che il prossimo Sinodo della Chiesa Caldea si terrà a Baghdad: «Chiederò personalmente a tutti i vescovi – compresi quelli della diaspora – di non mancare», precisa il patriarca. Aggiungendo che anche i preti oggi in Iraq «devono dare l’esempio» e non preoccuparsi solo della loro sicurezza.
Un’altra comunità cristiana che vive in condizioni di estrema difficoltà, ma cerca la risposta in un di più nella propria vita di fede. Un’altra lezione importante per il cattolicesimo che nel Conclave si appresta a riflettere sul suo futuro.
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