In seguito a lavori preparatori condotti dall’autorità competente in vista della costruzione di un nuovo tratto della superstrada Gerusalemme-Tel Aviv, a Tel Motza, pochi chilometri a occidente della capitale, è stato trovato un tempio o istallazione cultuale ebraica appartenente all’epoca biblica dell’Antico Testamento. Si tratta di un complesso di edifici piuttosto vasto, composto di ambienti dotati di muri massicci, con ampio cortile contenente una piattaforma sopraelevata ad uso di altare e, nei suoi pressi, un ripostiglio segreto di oggetti sacri. La sala più grande, di forma rettangolare, rivolta a Oriente, è interpretata dagli archeologi israeliani impegnati nello scavo come costituente il tempio vero e proprio. Quanto al ripostiglio di oggetti di natura cultuale, rinvenuto presso l’altare, comprende vasi in ceramica, con frammenti di coppe fatte a calice, alti piedestalli variamente decorati e un certo numero di statuette fittili con figure sia antropomorfe che zoomorfe. Possiamo affermare che certamente si tratta di un genere di ritrovamenti che gli archeologi sono molto più abituati ad incontrare nelle località pagane della costa, come Giaffa, Ashdod, Ashqalon e Gaza, tutte città abitate prima dai cananei e poi dai filistei.
Ritrovamenti come questo sono di fatto ritenuti piuttosto rari e alquanto problematici sulla montagna di Giuda, soprattutto perché Tel Motza è situato a poca distanza da Gerusalemme. Il tempio di Gerusalemme riuscì infatti, al tempo dei re Ezechia e Giosia (rispettivamente nell’ottavo e nel settimo secolo avanti Cristo), prima a sovrapporsi e poi finalmente a sostituirsi ai molti santuarietti locali che avevano gli israeliti. Il problema della moltiplicazione dei luoghi di culto era visto come più grave nel regno separatista d’Israele o del Nord: «Si erano costruiti alture in tutte le loro città, dai più piccoli villaggi alle fortezze» (2Re 17,9). Questi luoghi di culto, e i sacerdoti che li ufficiavano, erano visti dai profeti come troppo influenzati dalla cultura cananea dominante e perciò tendenzialmente indulgenti al politeismo, costituendo così «un laccio in Mizpà, una rete tesa sul Tabor e una fossa profonda a Sittìm» (Osea 5,1-2), tutti luoghi di culto situati in parti diverse del regno d’Israele. Sembra che il termine «alture» possa bene indicare luoghi simili a quello trovato a Tel Motza (che geograficamente appartiene al regno del Sud), anche se non sono situati necessariamente in un posto fisicamente elevato.
Non era escluso dal pericolo della contaminazione culturale pagana cananea lo stesso tempio di Gerusalemme. Del re Ezechia è scritto che proprio a Gerusalemme «eliminò le alture e frantumò le stele, abbatté il palo sacro e fece a pezzi il serpente di bronzo, eretto da Mosè» e il testo continua «difatti fino a quel tempo gli Israeliti gli bruciavano incenso e lo chiamavano Necustan» (2Re 18,4). Cento anni dopo, Giosia «cominciò a purificare Giuda e Gerusalemme, eliminando le alture, i pali sacri e gli idoli scolpiti o fusi» (2Cronache 34,3). Il risultato fu dunque alla fine che un solo Tempio, quello centrale di Gerusalemme, venne ritenuto legittimo dalla religione ufficiale d’Israele e tutti gli altri templi furono soppressi. Allo stesso modo, e per ragioni simili, si arrivò anche a proibire del tutto la rappresentazione di qualsiasi essere vivente. Gli scavi suggeriscono che precedentemente tale pratica era invece tollerata, almeno in parte, suggerendo che nelle figurine non fossero visti necessariamente degli idoli, quanto piuttosto degli ex-voto popolari oppure dei semplici elementi ornamentali eseguiti senza altro scopo di quello simbolico-artistico.