Gli Stati Uniti temono una deriva fondamentalista islamica in Siria e stanno formando in Giordania combattenti siriani dal profilo «non religioso», nel tentativo di arginare l'influenza del radicalismo islamico tra gli oppositori al regime. Intanto dai Paesi della Lega araba arrivano nuove armi per i ribelli... e i civili, come profughi, continuano a fuggire dalla guerra.
(Milano/c.g.-g.s.) – Anche gli Stati Uniti sembrano temere una deriva fondamentalista islamica in Siria. L’agenzia Associated Press ha pubblicato ieri l’intervista ad alcuni funzionari dell’intelligence statunitense. Secondo gli ufficiali, rimasti anonimi, le forze armate americane da diversi mesi stanno formando in Giordania combattenti siriani dal profilo «non religioso», nel tentativo di arginare l’influenza del radicalismo islamico tra gli oppositori al regime.
In effetti, negli ultimi due anni di conflitto lo scontro tra l’esercito regolare di Bashar al Assad e il Libero esercito siriano dei ribelli si sta trasformando sempre più in un conflitto religioso che oppone gli alawiti (pro Assad) ai sunniti (del Libero esercito siriano). Con l’aggravante della partecipazione allo scontro di milizie religiose straniere: reduci sunniti delle rivolte libiche dalla parte dei rivoltosi; e militanti Hezbollah sciiti a favore di Assad. Con la minoranza cristiana a ricevere colpi su colpi dai due contendenti.
Secondo le fonti americane all’addestramento partecipano sunniti e beduini che avevano già prestato servizio nelle file dell’esercito siriano. Queste truppe appena formate non confluiranno però nel Libero esercito siriano, che gli Usa e altre potenze occidentali avrebbero timore possa scivolare sempre più sotto l’influenza di milizie estremiste, alcune delle quali legate ad Al Qaeda. Alcuni combattenti delle milizie siriane «non religiose» che gli Stati Uniti hanno formato, inoltre, ora sarebbero a loro volta occupati a formare altre milizie «non religiose» all’interno dei confini siriani.
Nonostante i rischi di radicalismo religioso di cui si rende conto, Washington non starebbe però lesinando aiuti ai ribelli siriani. Lunedì The New York Times ha pubblicato la notizia che la Cia ha aiutato i governi arabi e la Turchia nel fornire assistenza militare all’opposizione siriana, con voli carichi di armi e di equipaggiamenti. Questi voli di rifornimento sarebbero iniziato almeno un anno fa e sarebbero stati fino ad oggi più di 160.
Ieri anche la Lega araba, nel corso di un vertice riunito a Doha, ha approvato la fornitura di armi ai ribelli da parte dei suoi Stati membri e ha assegnato il seggio siriano al proprio interno al rappresentante dei ribelli. La Nato invece, per ora, ha rifiutato di dispiegare le sue batterie di missili Patriot nelle regioni settentrionali della Siria ormai sotto il controllo dei ribelli.
Intanto si aggrava la situazione umanitaria: Wael Suleiman, direttore della Caritas giordana ha dichiarato all’agenzia Fides che i profughi siriani in Giordania hanno ormai superato la soglia dei 500 mila. «Ogni giorno – spiega Suleiman – entrano in Giordania tra i mille e i duemila rifugiati. Solo due giorni fa sono stati 1.700. L’ultimo rapporto diffuso su questa emergenza umanitaria calcola che i profughi saranno un milione e mezzo entro dicembre. Allora la situazione diverrà insostenibile per la Giordania. Come Caritas, i nostri volontari e i nostri impiegati sono più che triplicati dall’inizio dell’afflusso dei profughi. Ora i volontari sono più di 200 e gli impiegati più di 150. Ma non basta: due giorni fa sono stato a Zaqra e ho visto il nostro punto Caritas circondato da una moltitudine di persone che chiedevano aiuto».