Quando questa sera al Colosseo risuoneranno le meditazioni della Via Crucis del Papa scritte da un gruppo di giovani maroniti guidati dal patriarca Bechara Rai, il nostro pensiero non potrà che andare a un angolo ben preciso della Terra Santa: alla Siria, che vive un'altra Pasqua ferita dalla guerra. Terra Santa anche Damasco, Aleppo, Homs e tutte le altre città della Siria, culla del cristianesimo dei primi secoli.
Quando questa sera al Colosseo risuoneranno le meditazioni della Via Crucis del Papa scritte da un gruppo di giovani maroniti guidati dal patriarca Bechara Rai, il nostro pensiero non potrà che andare a un angolo ben preciso della Terra Santa: alla Siria, che vive un’altra Pasqua ferita dalla guerra. Terra Santa anche Damasco, Aleppo, Homs e tutte le altre città della Siria, culla del cristianesimo dei primi secoli: è bene ricordarcelo, per non fermarci al folklore nel ricordo in queste ore dei luoghi dove si è compiuto il grande mistero che torniamo a celebrare.
È la via di Damasco il luogo dell’ultima apparizione del Risorto: quella a Paolo. E allora dobbiamo assolutamente far incrociare questa Pasqua anche con le notizie che continuano ad arrivare dalle comunità cristiane eredi di quell’incontro.
Proprio ieri il quotidiano cattolico francese La Croix pubblicava una nuova lettera dei religiosi maristi di Aleppo. Un nuovo racconto del Calvario che questa città così importante per la storia del cristianesimo siriaco da ormai otto mesi sta vivendo. Ma anche una nuova denuncia delle troppe ipocrisie che circondano questa guerra; ad esempio quella di chi parla apertamente di rifornire gli oppositori di Assad di nuove «armi difensive non letali», come «se davvero strumenti del genere potessero esistere», annotano i religiosi. Anche in questo contesto i maristi cercano di spendersi per le migliaia di sfollati, che si trovano a vivere sotto il tiro dei cecchini o dei mortai. Li ospitano nelle loro tre scuole del quartiere di Sheikh Maksoud.
Ma è una solidarietà che deve fare comunque fare i conti con la Croce. Come è successo proprio questa settimana anche alla comunità maronita di Damasco. È stato lo stesso arcivescovo Samir Nassar ad annunciare l’altro giorno la morte di Camil, un seminarista di 35 anni che presto sarebbe diventato un diacono permanente. È successo proprio in questo martedì della Settimana Santa: stava andando da una famiglia rimasta isolata, durante il giro settimanale per la distribuzione del cibo ai poveri. Un colpo di mortaio lo ha portato via. «È una roulette russa che si prende vite innocenti – ha scritto l’arcivescovo Nassar – Camil è rimpianto da tutti… è stato così vicino a tutti». È morto «durante la Settimana Santa con il Cristo Crocifisso per servire e lodare per sempre il Salvatore Risorto e implorare la pace per il suo Paese torturato».
Quello dei propri fratelli in Siria è un dramma che anche i cristiani di Gerusalemme hanno ben presente. «Il nostro cuore sanguina – ha detto senza giocare troppo con le parole il patriarca Fouad Twal, presiedendo ieri al Santo Sepolcro la Messa in Coena Domini – vedendo la Siria affondare sempre più in una violenza che non ha più nome, se non quello della follia umana».
«Faccio appello a voi, cristiani di Terra Santa e pellegrini – ha aggiunto ancora Twal -, perché nelle vostre comunità e nelle vostre famiglie possiate diventare veri adoratori, che frequentano abitualmente l’Eucaristia, per avere la forza di costruire una società giusta, una pace durevole. Una testimonianza è già la meravigliosa opera di carità sostenuta dalle comunità cristiane, dalle parrocchie e dalla Caritas in Giordania per aiutare i profughi siriani in difficoltà».
Un segno concreto di quella Risurrezione che i cristiani della Siria attendono. «Continuiamo a credere nella speranza cristiana – scrivono i maristi di Aleppo -, senza la quale la fede non è altro che una parola vuota e la carità non è che un’elemosina». È la Pasqua difficile dei cristiani della Siria. Quella che ci ricorda che anche il Risorto porta intatti sulla sua carne i segni dei chiodi.
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