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La censura iraniana non si risparmia

Maddy Bellani
5 aprile 2013
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La censura iraniana non si risparmia
Anche le rappresentazioni di Buddha sono finite nel mirino della censura iraniana.

In Iran la censura cerca di preseravare la purezza dell'Islam sciita, prendendo di mira tutto ciò che non viene considerato consono con lo spirito della rivoluzione khomeinista. Così vengono bloccate molte espressioni tipiche delle società occidentali, ma anche simboli millenari dell'Oriente asiatico, come le rappresentazioni del Buddha.


(Milano) – All’Iran non solo non piace l’Occidente, ora nemmeno l’Oriente. Per la prima volta, infatti, il governo di Teheran ha dichiarato guerra a un simbolo orientale: la statuetta che rappresenta Buddha. Motivo? La paura che i cittadini iraniani, attraverso simboli di «invasione culturale» dall’estero, possano essere istigati ad abbandonare i valori dell’Islam.

Secondo il quotidiano locale Arman, l’autorità per la salvaguardia del patrimonio culturale iraniano avrebbe ordinato il divieto di esporre rappresentazioni scultoree della figura sacra del buddhismo e il sequestro per quelle in vendita nei negozi in quanto, appunto, le autorità iraniane non consentono la diffusione e la commercializzazione di ideologie e religioni non musulmane.

Già nel 1996 il presidente dell’Iran, Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, aveva bandito la bambola Barbie in quanto definita «un cavallo di Troia» in grado di trasmettere alle bambine modelli femminili sbagliati, mentre un anno fa il segretario dell’Istituto per lo sviluppo intellettuale di bambini e ragazzi, Mohammad Hossein Farjoo, in occasione di una campagna contro i valori e i simboli della cultura occidentale, aveva dichiarato di voler impedire la diffusione dei pupazzi del cartone animato I Simpson. Dando via libera invece a Superman e Spiderman che, anche se appartengono alla cultura occidentale, sono considerati eroi degli oppressi.

Pare comunque che chi aveva acquistato le statuette di Buddha lo aveva fatto solo per usarle come complementi d’arredo per la casa, e non per il loro valore religioso.

La censura iraniana è rigorosa e riguarda libri, film, musica, abiti occidentali e tutto quello che proviene dall’esterno del Paese. Ma è implacabile anche contro tutto ciò, sul fronte interno, non è in linea con il volere della Guida suprema, Ali Khamenei.

Infatti, in vista delle presidenziali del 14 giugno, il governo di Teheran ha pensato bene di inasprire ancora di più la censura su Internet.

Innanzitutto, ha bloccato l’uso della maggior parte delle reti private virtuali, uno strumento che molti iraniani usano su Internet per bypassare i filtri delle autorità e aggirare così le censure. Sono più lente ma possono consentire a un computer o un dispositivo connesso di comportarsi come se fosse in un altro Paese. D’ora in poi potranno essere utilizzate solo connessioni registrate, attraverso cui il traffico è più facilmente monitorabile.

Il governo iraniano ha poi stilato una lista nera delle attività vietate: promuovere campagne di boicottaggio delle elezioni, criticare in Rete i candidati, condividere link di pagine web bloccate nel Paese (Facebook e Twitter in testa).

Nell’occhio del ciclone ci sono infatti soprattutto i social network, per il ruolo importante che hanno giocato negli ultimi anni nell’infiammare gli animi e combattere le tirannie. Un esempio per tutti. I giovani di piazza Tahrir, al Cairo, che, per far deporre il presidente monarca Hosni Mubarak, hanno organizzato la rivoluzione egiziana su Twitter, postando su YouTube i video degli scontri, e dandosi appuntamenti segreti dalle pagine di Facebook. Tanti luoghi virtuali che ne avevano solo uno reale in comune: piazza Tahrir.

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