Si va stemperando la freddezza di rapporti tra Turchia e Israele, indotta dall'Operazione Piombo fuso del 2009 e, ancor più, dalla crisi della Freedom Flotilla nell'estate 2010. Ora, su stimolo del presidente Usa, Barack Obama, e in nome dei comuni interessi economici e geopolitici, i due governi tornano a parlarsi e a collaborare.
(Milano/c.g.) – Il triennale gelo tra Turchia e Israele sembra sciogliersi anche grazie al turismo. Il quotidiano turco Hurriyet dà notizia, infatti, che gli operatori turistici turchi sono tornati a inserire nei pacchetti dedicati ai turisti russi in Turchia, la visita di un giorno, da mattina a sera, a Gerusalemme. Un viaggio lampo che interessa tanto i turisti russi di religione ortodossa, quanto quelli provenienti dal Kazakhstan, di religione musulmana. Nel frattempo le agenzie israeliane hanno già ripreso a proporre vacanze sulle spiagge turche ai propri connazionali.
Il disgelo tra i due Paesi ha cominciato a manifestarsi verso fine marzo, dopo la visita del presidente americano Barack Obama in Medio Oriente (20-24 marzo). Incoraggiato, a quanto sembra, dall’inquilino della Casa Bianca, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha telefonato al collega turco Recep Tayyp Erdogan, per chiedere ufficialmente scusa dei 9 morti causati dall’arrembaggio della Marina israeliana alla Navi Marmara, il 31 maggio 2010. In quell’occasione una flotta di sei navi salpata dalle coste di Cipro alla volta di Gaza e denominata Freedom Flotilla, venne fermata con la forza dall’esercito israeliano. Gli attivisti internazionali a bordo della Navi Marmara, l’imbarcazione più grande, reagirono con la forza all’assalto dei militari israeliani e lo scontro terminò da una parte, con il ferimento di alcuni militari e, dall’altra, con l’uccisione di 9 cittadini turchi e il ferimento e l’arresto di altre persone imbarcate sulla «Flotta della Libertà». La Turchia pretese invano le scuse del governo di Israele e l’impegno formale a indennizzare le famiglie delle vittime. Davanti al rifiuto di Netanyahu, richiamò in patria l’ambasciatore; cosa che fece, in seguito, anche Israele.
I rapporti di collaborazione tra i due Stati si erano però già fatti tesi l’anno prima in seguito all’operazione militare israeliana Piombo Fuso sulla Striscia di Gaza. Partecipando al Vertice di Davos, in Svizzera, il 29 gennaio 2009, il primo ministro turco Erdogan contestò apertamente il presidente israeliano Shimon Peres che prendeva parte con lui a una tavola rotonda e abbandonò il dibattito in segno di protesta.
La necessità di normalizzare i rapporti tra i due Stati è dettata anche da ragioni geopolitiche (la crisi siriana preoccupa entrambi i governi) ed economiche (lo sfruttamento comune degli ingenti giacimenti di gas sottomarino nel braccio di Mediterraneo al largo delle coste israeliane, libanesi, cipriote e turche).
Secondo Hurriyet uno degli interessi che sta spingendo per «la pace» è il progetto della costruzione di un nuovo gasdotto che dovrebbe trasportare il gas israeliano dei giacimenti appena scoperti al largo di Tel Aviv, attraverso la Turchia, verso il mercato continentale europeo. «Possiamo usare l’energia e il gas, oltre al valore commerciale che esso ha, anche per un servizio alla politica e alla diplomazia?», si è chiesto lo scorso 11 aprile Micheael Lotem, speciale inviato dell’energia per il ministero degli Esteri israeliano, in occasione della Turoge, la Dodicesima conferenza internazionale per il gas e il petrolio in Turchia.
«Io penso che dovremmo – ha concluso Lotem –; e se ne parliamo, soprattutto per quanto riguarda Turchia ed Europa, questo rappresenta un valido esempio di come un progetto energetico possa determinare la geopolitica».