L’interrogativo più frequente
La domanda che sento più spesso, a proposito dell’Egitto, è: cosa è cambiato dopo la rivoluzione del 25 gennaio 2011? Domanda adeguata anche per inaugurare la presente rubrica, il cui scopo è di raccontare la complessità dell’Egitto in trasformazione. Non è, tuttavia, una domanda alla quale si può rispondere con poche parole...
La domanda che sento più spesso, a proposito dell’Egitto, è: cosa è cambiato dopo la rivoluzione del 25 gennaio 2011? Domanda adeguata anche per inaugurare la presente rubrica, il cui scopo è di raccontare la complessità dell’Egitto in trasformazione. Non è, tuttavia, una domanda alla quale si può rispondere con poche parole. In realtà, di fronte al permanere di un sistema di governo autoritario, alle gravi difficoltà in cui versa l’economia, alle quotidiane persecuzioni di attivisti e oppositori dell’amministrazione islamista, al periodico acuirsi delle violenze settarie, e a tanti altri problemi ancora, rimasti insoluti dopo la destituzione del presidente Hosni Mubarak, la tentazione di rispondere sbrigativamente che nulla è cambiato, se non in peggio, è forte. Molte persone, in effetti – egiziani e non, protagonisti della rivoluzione o esponenti del «partito del sofà» – lo dicono apertamente, ormai. Sono numerose, però, anche le persone che affermano con convinzione che indietro non si può più tornare, rilevando come sia scattato qualcosa d’irreparabile nelle coscienze degli egiziani, che non potrà non produrre cambiamento.
Anch’io condivido quest’ultima opinione. Il cambiamento non è percepibile se si guarda solamente alla politica e all’economia, ma se si «abbassa» lo sguardo sulla società, si scorgeranno segni interessanti di un’evoluzione in corso. La rivoluzione che ha sconfitto il dittatore, opponendo una piazza colorata all’oscuro regime di Mubarak, e che tuttavia non è ancora riuscita a scardinare lo Stato autoritario, sempre alla ricerca di nuovi equilibri per sopravvivere, pare invece essere penetrata nelle pieghe intime della società. Ha messo in moto una miriade di iniziative, organizzazioni e movimenti, restituendo alle persone la consapevolezza di poter fare la differenza. Sta inoltre ridefinendo, in molti casi, le relazioni interpersonali, infiltrandosi (non senza dolore) nelle famiglie, o fra individuo e individuo, perché ora il conflitto sembra essere fra chi ben intende i valori della libertà, della democrazia e della cittadinanza, dando loro corpo quotidianamente nella propria vita, e chi ne fa parole vuote, restando imprigionato in comportamenti e mentalità autoritari. A dire il vero, non è la rivoluzione che ha prodotto questo cambiamento, ma il contrario: la rivoluzione non è stata nient’altro che la fiammata visibile al mondo intero di un cambiamento sotterraneo già da lungo tempo in atto, che ha poi innescato, a cascata, ulteriori trasformazioni.
La rivoluzione, tuttavia, ha anche fatto saltare molti coperchi e molte valvole di sicurezza, scoprendo in piena luce problemi e ipocrisie della società, rimasti a lungo in penombra. Per questo motivo, sotto l’influenza delle tensioni e dei conflitti risultanti, l’esito dell’evoluzione in corso è ancora incerto, pericoloso e promettente al tempo stesso.
Sia quel che sia, i sintomi di un cambiamento positivo esistono. Quelli che colpiscono di più sono la rottura di molti tabù e uno spostamento di priorità nella scala di valori di un gran numero di persone, che ora – come si sente ripetere di frequente – «non hanno più paura», e sono pronte a sacrificare la vita per la propria dignità, o per affermare un principio sacro come la libertà di espressione. Dopo la rivoluzione, in Egitto, si è giunti a parlare pubblicamente di temi che prima restavano confinati in circoli ristretti. Solo per fare qualche esempio, ora si discute di molestie sessuali alle donne, di discriminazione delle minoranze «minori», quali gli sciiti e i baha’i, di ateismo, dell’espulsione degli ebrei egiziani negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, dei privilegi e dei soprusi della casta dei militari, del ruolo delle autorità religiose, cristiane e islamiche, nei confronti dello Stato, del fallimento dell’Islam politico, e l’elenco potrebbe continuare.
Quando il cambiamento sottile che sta avvenendo nelle coscienze degli egiziani emerge dal caos, s’incarna spesso in storie emblematiche che hanno per protagoniste persone ordinarie. Queste storie riassumono ciò che si agita nel ventre della società egiziana meglio di qualsiasi analisi politica o sociale. Sono storie ai margini della cronaca che colpiscono l’immaginazione, perché stonano con l’idea precostituita che si ha di tale società, segnalando un “turbamento” nel suo tessuto foriero di mutamento. Nelle puntate successive di questa rubrica, saranno proprio queste storie che ci aiuteranno a rispondere alla domanda posta all’inizio, su cosa sia cambiato, in Egitto, dopo la rivoluzione.