Oltre 50 milioni di iraniani venerdì 14 giugno saranno chiamati ad eleggere un nuovo presidente della repubblica. L'uscente Mahmoud Ahmadinejad, giunto al suo terzo mandato, non può più ricandidarsi. La campagna elettorale si è aperta con otto candidati, ma poi alcuni si sono ritirati. L'eletto erediterà un Paese in grave crisi economica.
(Milano/c.g.) – Venerdì 14 giugno oltre 50 milioni di iraniani saranno chiamati alle urne per eleggere un nuovo presidente della repubblica islamica. Il presidente uscente Mahmoud Ahmadinejad, giunto al suo terzo mandato, non può più ricandidarsi. Così, ai vertici della repubblica iraniana vedremo di certo un volto nuovo; cambiamento che influenzerà, nel bene o nel male, i fragili equilibri del Medio Oriente.
Nel mese scorso il Consiglio dei Guardiani – una corte di religiosi e giuristi con il compito di far rispettare i princìpi della rivoluzione islamica – ha ammesso alla competizione elettorale otto candidati: sei conservatori, nella linea del capo supremo della rivoluzione, l’ayatollah Ali Khamenei; e due riformisti, portavoce del desiderio di cambiamento della società iraniana; desiderio rimasto sotto la cenere dal 2010, quando Ahmadinejad, represse nel sangue la rivolta pacifica sorta in seno alla società civile.
Il nuovo presidente iraniano dovrà affrontare gravi problemi di ordine economico e politico. Continuare o meno la corsa al nucleare che tanto preoccupa Israele ed ha provocato le pesanti sanzioni economiche da parte dell’Occidente? Mantenere l’appoggio in armi e uomini al presidente Bashar al Assad, nella guerra civile siriana, contribuendo a trascinare l’intera regione del conflitto?
Il Fondo monetario internazionale ha dichiarato che nel 2012, per la prima volta in venti anni, l’economia iraniana è entrata in recessione. Molto hanno pesato le sanzioni internazionali imposte all’Iran per via della sua corsa al nucleare. Ma i problemi sono stati provocati anche dal fallimento della riforma economica voluta da Ahmadinejad nel 2010. Una riforma che prevedeva tagli di decine per miliardi di dollari al sistema di sovvenzioni governative a cibo e carburanti, compensati però da aiuti in denaro ai poveri. Una politica che ha provocato l’aumento dei prezzi di cibo e carburanti, ma anche di altri beni e prodotti. Fenomeno che, a sua volta, ha causato una riduzione della domanda e, in alcuni casi, anche la chiusura di alcune fabbriche. Secondo una ricerca pubblicata dall’emittente inglese Bbc, in Iran negli ultimi anni il costo della vita è cresciuto in modo preoccupante: un chilo di carne bovina nel 2007 costava un euro mentre oggi ne costa quasi sei; un litro di latte è passato da 12 a 50 centesimi; un chilo di riso da 3 centesimi a 1,70 euro; una forma di sangak, il pane tipico iraniano, costava 7 centesimi e oggi ne costa 13. Il salario minimo è diminuito in termini reali passando da una somma pari a 210 euro nel 2010 a 103 euro di oggi.
La campagna elettorale in questi giorni è nel vivo: nelle scorse quarantotto ore due candidati – uno conservatore e uno riformista- hanno deciso di ritirarsi. Così, ad oggi, l’unico candidato riformista rimasto è Hassan Rouhani, esperto diplomatico, mediatore iraniano sulle questioni nucleari ai tempi della presidenza dell’ex presidente Mohammad Khatami; e massimo responsabile della sicurezza del Paese durante la presidenza del riformista Akbar Hashemi Rafsanjani, del cui favore gode ancora. I due candidati più apprezzati dagli elettori del fronte conservatore, invece, sarebbero Saeed Jalili, nominato dalla Guida suprema Khamenei segretario del Supremo consiglio di difesa nazionale; e Ali Akbar Velayati, ministro degli Esteri iraniano durante la guerra tra Iran e Iraq (1980-1988) e consigliere di politica estera della guida suprema Khamenei. Lo stesso Khamenei, tuttavia, non ha ancora espresso la propria preferenza per alcun candidato. L’indicazione potrebbe essere fondamentale per influenzare un elettorato ancora indeciso.