In Libano profughi palestinesi senza casa
In Libano, secondo le statistiche dell’Agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi, sarebbero almeno 150 mila (su un totale di 425 mila) i palestinesi sparsi in insediamenti informali. Al di fuori cioè dei campi profughi – 12 quelli riconosciuti – che accolsero a partire dal 1948, al tempo della nascita dello Stato d’Israele, i palestinesi scacciati dalle loro case e dalle loro terre. Molti di costoro rischiano ora di restare nuovamente senza tetto...
Zahar Sayed Ghadbaan indica sconsolato una casupola con il tetto di lamiera ondulata e non nasconde la sua rabbia. Siamo a Qasmiyeh, nel sud del Libano. Zahar ha costruito con le sue mani la casa nella quale vive da decenni con la sua famiglia. Secondo le statistiche dell’Agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi (Unrwa), sarebbero almeno 150 mila (su un totale di 425 mila), i palestinesi sparsi in insediamenti informali. Al di fuori cioè dei campi profughi – 12 quelli riconosciuti – che accolsero a partire dal 1948, al tempo della nascita dello Stato d’Israele, i palestinesi scacciati dalle loro case e dalle loro terre.
Una prospettiva, quella di una nuova «cacciata», che Zaher sente purtroppo sempre più vicina. Cosa sta capitando?
Molti palestinesi che con la cosiddetta nakba furono costretti a passare in Libano, finirono a lavorare come braccianti agricoli nei campi. In cambio del lavoro, fu loro permesso dai proprietari terrieri di abitare in baracche, che con il tempo sono state trasformate in casette più solide e confortevoli. Sono attualmente 43 questi «insediamenti informali» che ospitano i palestinesi all’interno dei confini libanesi.
Nel caso dell’insediamento di Qasmiyeh, il rischio ora è quello che le case vengano demolite e che questa gente possa nuovamente essere buttata per strada. Gli eredi degli antichi proprietari del terreno hanno ora chiesto di rientrare in possesso delle terre e hanno ottenuto nel 2012 un ordine di demolizione delle case. Per il momento le 75 famiglie dell’insediamento sono riuscite a resistere, offrendosi anche di acquistare le case nelle quali risiedono e il terreno sul quale vivono ormai da 65 anni. Ma senza esito.
A complicare la faccenda, permane lo status di «stranieri» dei rifugiati palestinesi in Libano, ai quali non è mai stato concesso di integrarsi pienamente per non turbare i già fragili equilibri interni. Nel 2001 il governo di Beirut ha approvato una legge (la 296) che vieta espressamente a «qualsiasi persona che non sia cittadino di uno Stato riconosciuto l’acquisizione di beni immobili di qualsiasi natura». Il che impedisce di fatto ai palestinesi, cittadini di uno Stato che non c’è, di comprare o vendere alcunché in Libano.
La situazione di Zahar e delle 75 famiglie di Qasmiyeh pende ugualmente come una spada di Damocle sulla testa di molti palestinesi degli insediamenti informali. Alcune organizzazioni umanitarie, come il Consiglio norvegese per i rifugiati, stanno facendo pressione sul governo di Beirut affinché riveda le sue posizioni che di fatto negano il diritto di proprietà per i palestinesi, riportando le cose a prima del 2001, quando era possibile anche agli stranieri registrare le proprietà.
Ma anche tra gli operatori umanitari e gli attivisti per i diritti umani, inizia a serpeggiare una punta di pessimismo. La situazione nei campi profughi palestinesi, anche quelli ufficiali, continua a restare critica e aumenta la povertà, la disoccupazione e la promiscuità abitativa. Un quadro in rapido deterioramento, anche a causa del recente afflusso di oltre 50 mila profughi palestinesi dalla vicina Siria insanguinata dalla guerra civile.
(Twitter: @caffulli)