È un negoziato verso il quale ben pochi nelle piazze del Medio Oriente ripongono fiducia. Eppure continua ad andare avanti sottotraccia. E nel giro di qualche settimana partorirà l'ennesimo piano di pace con l'obiettivo ambizioso di aprire la strada all'intesa tra israeliani e palestinesi. Il segretario di Stato americano John Kerry sta per presentare la sua proposta per «un accordo quadro». Con quali parametri e quante possibilità di successo?
È un negoziato verso il quale ben pochi nelle piazze del Medio Oriente ripongono fiducia. Eppure continua ad andare avanti sottotraccia. E nel giro di qualche settimana partorirà l’ennesimo piano di pace con l’obiettivo ambizioso di aprire la strada all’intesa tra israeliani e palestinesi.
Le indiscrezioni uscite in questi giorni dicono che il segretario di Stato americano John Kerry starebbe per presentare la sua proposta per «un accordo quadro» per il Medio Oriente. Di che cosa si tratta? Non sono i parametri completi dell’ipotetica intesa; ma nemmeno solamente l’indicazione di una serie di tappe per arrivarci (come era la road map di George Bush nel 2002). L’accordo quadro di Kerry dovrebbe essere una via di mezzo: una serie di princìpi di fondo sui quali strappare un sì a israeliani e palestinesi. Per poi su questa base andare avanti a costruire l’intesa sui tanti punti da chiarire che restano ancora fuori, prorogando così la scadenza dell’aprile 2014 fissata inizialmente come scadenza dell’attuale negoziato.
Quali saranno dunque i contenuti dei parametri di Kerry? Niente di particolarmente nuovo: due Stati delineati a partire dai confini del 1967 ma con il meccanismo dello scambio di territori, che permetterebbe a Israele di tenere sotto la propria sovranità gli insediamenti più popolosi (dove abita circa il 75 per cento dei coloni) smantellando però quelli più isolati. Sui profughi palestinesi compensazioni economiche anziché diritto al ritorno. Soluzione di compromesso sulla Valle del Giordano, dove resterebbe una presenza militare israeliana, ma sotto una supervisione internazionale. Infine il punto politicamente più incandescente: Gerusalemme Est come capitale dello Stato palestinese in cambio però del riconoscimento da parte palestinese di Israele come Stato ebraico. Che alla fine vuole dire: a ciascuno dei due un boccone indigesto da mandare giù.
Che possibilità ci sono che questo «accordo quadro» sia accolto oggi da israeliani e palestinesi? Apparentemente poche. Però il gioco è lo stesso molto complesso; e così intorno ai parametri di Kerry il mondo politico israeliano è da settimane in fibrillazione. Il primo ministro Benjamin Netanyahu (e con lui il responsabile degli Esteri Avigdor Lieberman) non vogliono essere quelli che fanno saltare il tavolo. Probabilmente perché – come osserva Ben Caspit nell’analisi che proponiamo sotto – sono convinti che mai e poi mai i palestinesi accetteranno la definizione di Israele come Stato ebraico (anche perché questo vorrebbe dire sancire anche ufficialmente una cittadinanza di serie B per gli arabi israeliani). Chi non ci sta – però – è Naftali Bennett, il leader di HaBayit HaYehudi, il partito più vicino ai coloni, che non ne vuole sapere di questa strategia. E anche questo è abbastanza comprensibile: accettare l’«accordo quadro» vorrebbe dire che persino un governo della destra israeliana mette nero su bianco il principio che prima o poi gli insediamenti isolati andranno sgomberati e che Gerusalemme Est sarà capitale dello Stato palestinese. Per questo motivo negli ultimi giorni sono volate scintille tra Netanyahu e Bennett, con Lieberman pragmaticamente a incassare il ritorno di fiamma tra il suo Yisrael Beitenu e il Likud.
Tutto questo secondo me assomiglia molto a una riedizione dello scenario del 2000 a Camp David, con gli americani che si presentano al tavolo con una proposta che è oggettivamente il meglio che Israele possa aspirare a spuntare in una mediazione. E la domanda resta: che faranno i palestinesi? Daoud Kuttab – nell’articolo dell’agenzia palestinese Maan che rilanciamo sotto – racconta che Kerry sta facendo pressione sugli alleati arabi perché convincano il governo dell’Autorità Nazionale Palestinese ad accettare l’«accordo quadro». Ma è impossibile che dai palestinesi arrivi un sì senza condizioni.
La via d’uscita più probabile potrebbe essere un sì parziale da entrambe le parti, con allegata una serie di distinguo. Una dichiarazione politica che permetterebbe al negoziato di andare avanti rinviando ancora una volta le questioni più controverse. Ma almeno lasciando aperto uno spiraglio in attesa di tempi migliori.
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Clicca qui per leggere l’articolo di Yediot Ahronot
Clicca qui per leggere l’articolo di Ben Caspit su Al Monitor
Clicca qui per leggere l’articolo di Daoud Kuttab su Maan