La grande sete di Amman
La Giordania si trova ad affrontare un’emergenza tra le più delicate della sua storia, quella legata alla scarsità di risorse idriche. Negli ultimi decenni, infatti, la situazione è stata peggiorata dall’aumento di domanda interna, determinata dalle drammatiche crisi regionali prima dell’Iraq e della Siria, con un imponente arrivo di rifugiati (oltre un milione solo i siriani). A rendere ancora più spinosa la questione, la fortissima siccità degli ultimi inverni.
La Giordania si trova ad affrontare un’emergenza tra le più delicate della sua storia, quella legata alla scarsità di risorse idriche. Negli ultimi decenni, infatti, la situazione, già di per sé critica, è stata peggiorata dall’aumento di domanda interna, determinata dalle drammatiche crisi regionali prima dell’Iraq e più di recente della Siria, con un imponente arrivo di rifugiati (oltre un milione solo i siriani). A rendere ancora più spinosa la questione, la fortissima siccità degli ultimi inverni.
Un tentativo di soluzione alla perenne crisi idrica è il progetto denominato Rsdswc, che sta per Red Sea Dead Sea Water Conveyer, cioè Condotta tra Mar Rosso e Mar Morto, che prevede la costruzione di un grande impianto di desalinizzazione nel porto giordano di Aqaba e il pompaggio di acqua salata nel Mar Morto attraverso una condotta lunga 180 chilometri, con lo scopo di rivitalizzare il bacino che vede sempre più diminuire il livello delle sue acque. Secondo il ministero giordano dell’Agricoltura, che ha dato il via libera al progetto lo scorso dicembre, l’appalto sarà messo a gara e assegnato entro il 2015 e l’impianto dovrà entrare in funzione entro il 2018. Il desalinatore dovrebbe produrre, secondo quanto riportato dall’agenzia Irin, almeno 80 milioni di metri cubi di acqua dolce l’anno. Israele dovrebbe acquistare dalla Giordania circa 50 mila metri cubi annui di acqua, al prezzo di 42 centesimi di dollaro al metro cubo. L’accordo prevede che la Giordania acquisti da Israele un quantitativo pari di acqua dolce pompata dal Lago di Tiberiade, che servirà a rifornire l’acquedotto di Amman e le città del nord del regno hashemita.
Il progetto, che si propone di superare antiche barriere (e va nell’ottica di una cooperazione economica sempre più strutturata tra Giordania e Israele) non manca però di suscitare dibattiti e polemiche nel Paese.
C’è la preoccupazione legata ai rischi ambientali. Non è infatti pacifico che l’immissione di acqua marina nel bacino del Mar Morto possa giovare, data la differente concentrazione di sale. Questo è un rischio noto, più volte segnalato da agenzie internazionali e da studiosi del ramo. Ma la pressione economica delle aziende a cui fanno capo le beauty farm che gravitano sulla sponda giordana del Mar Morto, capaci di attrarre turismo internazionale e soldi, sta spingendo perché il progetto venga al più presto intrapreso.
C’è poi il dato politico: di fronte a una situazione di forte instabilità, ha senso stringere un accordo organico con Israele in un settore tanto importante come quello dell’approvvigionamento idrico? La paura è che le forniture d’acqua vengano usate come uno strumento di ricatto da parte israeliana verso la Giordania. E poi, altri 5 anni per arrivare alla produzione di acqua dolce sembrano decisamente tanti, a fronte di una penuria ormai cronica.
Sul versante siriano le cose non vanno meglio. La Giordania condivide con Damasco, in virtù di un accordo del 1987, lo sfruttamento idrico del fiume Yarmouk. Ma la Siria disattende da anni le intese e ha costruito oltre 40 dighe e bacini che impediscono all’acqua del fiume di defluire verso la Giordania. C’è poi lo sfruttamento sconsiderato delle dodici principali sorgenti del Paese, sottoposte a un costante stress estrattivo a causa della crescente domanda di acqua dolce.
Quale la soluzione, in un contesto decisamente compromesso dal punto di vista idrico? Secondo gli esperti, la strada maestra – più che la realizzazione di costosissimi impianti – è quella di una maggior razionalizzazione delle risorse idriche, di un profondo rinnovamento delle tecniche agricole, del miglioramento delle reti di distribuzione e dell’eliminazione degli sprechi. Attualmente il regno hashemita può contare ancora su circa 400 litri al giorno d’acqua pro capite (il consumo pro capite in Israele è attorno ai 370 litri al giorno mentre quello dei palestinesi di circa 70). La prospettiva è che, nel 2025, la disponibilità non supererà i 90 litri al giorno. Serve dunque attrezzarsi per tempo. E imparare a non sprecare la risorsa che in Medio Oriente è ormai più preziosa dell’oro.
(Twitter: @caffulli)