Oggi viene ufficialmente inaugurato in Giordania, vicino al villaggio di Azraq, a cento chilometri da Amman, un nuovo grande campo profughi che potrà ospitare fino a 130 mila persone. I siriani in fuga troveranno uno tra i più tecnologici campi mai costruiti al mondo. L’apertura della nuova struttura però suona come riconoscere che l’emergenza Siria durerà ancora a lungo.
(Milano) – Oggi viene ufficialmente inaugurato in Giordania, vicino al villaggio di Azraq, cento chilometri ad est di Amman, un nuovo grande campo profughi che potrà ospitare fino a 130 mila persone. Si tratta di una buona notizia per i profughi siriani, poiché il campo di Azraq sembra essere tra i più tecnologici e moderni mai costruiti al mondo. Al tempo stesso però, l’apertura del campo di Azraq è anche una cattiva notizia: la costruzione in Giordania di un altro campo profughi con caratteristiche di durata e stabilità equivale all’ammissione, da parte della comunità internazionale, che l’emergenza Siria durerà ancora a lungo.
Ad Azraq sono presenti 21 agenzie umanitarie internazionali, compresa la Cooperazione italiana che ha donato un ospedale da campo. Il nuovo complesso si estende su una superficie di 15 chilometri quadrati ed è diviso in quattro aree che, in una prima fase potranno ospitare fino a 60 mila persone, per arrivare però ad ospitarne più del doppio. Il campo è costato l’equivalente di 46 milioni di euro, serviti a costruire strade, infrastrutture, un moderno sistema idrico, ospedali, scuole – che potranno ospitare fino a 10 mila bambini -, supermercati e stazioni di polizia. Vi si trovano anche varie moschee e un cimitero.
Ad Azraq non è possibile trovare le classiche tende bianche dell’Onu, solitamente riservate ai profughi, ma solo case prefabbricate. «È probabilmente il più grande campo del genere mai pianificato della storia», conferma Andrew Harper, rappresentante in Giordania dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur). La caratteristica che distingue il campo di Azraq da molti campi profughi costruiti negli ultimi anni è proprio il fatto di essere stato «pianificato» quasi scientificamente: «Azraq è un campo organizzato: costruito grazie a risorse economiche ingenti e in 10 mesi di tempo – spiega Harper –. Quando (nel luglio 2012, ndr) si trattò di allestire il campo di Zaatari non avemmo a disposizione più di 10 giorni… I tempi erano dettati dal grande flusso di rifugiati siriani che attraversavano il confine; e in più, non avevamo risorse economiche…». Oggi, a distanza di quasi due anni, il campo di Zaatari secondo le Nazioni Unite ospita circa 170 mila persone. È cresciuto vorticosamente sull’onda dell’emergenza e la sua gestione, per molti versi, è sfuggita di mano, trasformandosi in un problema sociale per il governo giordano e per le Nazioni Unite: al suo interno si sono sviluppati fenomeni di emarginazione e precarietà in proporzioni sconosciute nel Paese d’origine dei profughi. Come l’avviamento alla prostituzione delle ragazze, l’abbandono scolastico e il lavoro minorile.
Esattamente quello che questa volta l’Onu, grazie a una lunga e meticolosa pianificazione del nuovo campo, vuole evitare.