La famiglia Khoury - produttrice da vent’anni della birra palestinese Taybeh, che porta il nome del villaggio cristiano in cui nasce - ha piantato delle nuove vigne sulle colline tutt'intorno a questo paese della Cisgiordania. L’intento è di produrre da quest’anno un vino al 100 per cento palestinese e contribuire allo sviluppo turistico dell'area.
(Gerusalemme/m.m.l.v.) – Dall’agosto del 2013 le colline su cui sorge il piccolo borgo di Taybeh, in Cisgiordania, assumono un aspetto che ricorda il panorama delle più note regioni vinicole francesi. Lo si deve alla famiglia Khoury – produttrice da vent’anni della birra palestinese che porta lo stesso nome del villaggio – che ha piantato delle nuove vigne con l’intento di produrre e commercializzare, a partire da quest’anno un vino al 100 per cento palestinese.
«C’erano altre due imprese vinicole in Palestina, a Latrun e a Cremisan, ma ormai sono praticamente in territorio israeliano. Il vino di Taybeh sarà così il solo ad essere coltivato e prodotto interamente sul nostro suolo». Ne va fiero, e non poco, Nadim Khoury, il capo di questa famiglia di cristiani locali, mentre ci porta a visitare i suoi vitigni. «Ai tempi dei miei genitori, Taybeh era circondato di vigne e diverse famiglie producevano il proprio vino. Nel 1996, però, un virus distrusse le colture e nessuno, fino ad oggi, aveva pensato di ripiantarle», racconta.
Già da quattro anni i Khoury producono vino a proprio uso e consumo, ma a partire da uve italiane. Una produzione che suscita l’interesse dei visitatori del birrificio reso celebre dal fatto di produrre l’unica birra palestinese. Nadim li definisce «turisti istruiti», che ci tengono a consumare il più possibile prodotti locali quando vengono in Palestina, che si tratti di birra o di vino, come in questo caso. È per soddisfare questo tipo di clientela, e per promuovere il suo villaggio, che Nadim ha deciso lo scorso anno di lanciarsi nella produzione di 24 mila bottiglie di vino. Un’impresa a cui partecipa suo figlio Canaan, di 23 anni.
Di formazione ingegnere, il giovane Khoury ha affiancato per un anno intero un esperto enologo al fine di acquisire tutte le conoscenze necessarie a gestire l’intero processo di vinificazione dalla A alla Z. Ed è con grande professionalità che ci mostra le barrique in cui fermentano da molti mesi i primi mosti di Seurat, Merlot e Cabernet Sauvignon made in Palestine.
Quest’anno si produrrà soltanto vino rosso, ma sono già stati piantati vitigni di Sauvignon bianco per una prossima annata. «Vorremmo sviluppare e diversificare la nostra produzione nell’arco dei prossimi anni», spiega Nadim Khoury. «È importante promuovere il villaggio – osserva –. Siamo in Palestina e la popolazione, a maggioranza musulmana, praticamente non consuma alcol. Ma ciò non significa che non si possa avere qualche luogo dove chi vuole possa assaggiare del buon vino o una birra locale». Con questa idea in mente l’anno scorso Nadim ha cominciato a costruire un albergo che al pian terreno avrà un bar e una vineria dove verranno proposti solo alcolici prodotti a Taybeh (il villaggio ha la caratteristica di essere interamente popolato da cristiani).
Il turismo è un importante fattore di sviluppo in Palestina e grazie alla sua produzione vinicola, la famiglia Khoury spera di far meglio conoscere Taybeh. Vuole anche provare a educare la popolazione locale ad apprezzare il vino di qualità. C’è anche un obiettivo a più lungo termine: arrivare ad esportare il vino di Taybeh come fa già con la birra, che si è guadagnata un suo spazio sul mercato internazionale. Chissà? Magari un giorno il vino palestinese apparirà anche nei menù di prestigiosi ristoranti ai quattro angoli del Pianeta.