Una spirale di violenza turba in questi giorni Gerusalemme e la Terra Santa, dopo la scoperta, lunedì 30 giugno, dei cadaveri di tre adolescenti israeliani rapiti in precedenza e l’omicidio, forse motivato da intenti di vendetta, di un sedicenne palestinese di Gerusalemme Est, sequestrato martedì sera poco distante da casa.
(k.c.-g.s.) – Una spirale di violenza turba in questi giorni Gerusalemme e la Terra Santa, dopo la scoperta, lunedì 30 giugno, dei cadaveri di tre adolescenti israeliani rapiti in precedenza e l’omicidio, forse motivato da intenti di vendetta, di un sedicenne palestinese di Gerusalemme Est, sequestrato martedì sera poco distante da casa. La tensione è molto alta, attizzata anche dalle operazioni militari israeliane in Cisgiordania e sulla Striscia di Gaza e dal lancio di razzi da quest’ultimo territorio verso le cittadine israeliane nel Neghev.
Anche se la dirigenza dell’Autorità Nazionale Palestinese non sembra interessata a soffiare sul fuoco, non pochi osservatori paventano la possibilità di una nuova insurrezione palestinese. Sarebbe la terza intifada e scoppierebbe a dieci anni dalla conclusione della seconda, durata dal 2000 al 2004 e che punteggiò di attentati suicidi varie città della Terra Santa. Tra attentati terroristici e controffensiva israeliana si calcola che quella stagione abbia stroncato la vita di 3 mila palestinesi e mille israeliani, oltre a 64 stranieri.
La situazione è precipitata la notte del 12 giugno scorso con il sequestro di Naftali Frenkel, Gilad Shaar e Eyal Yifrach, tre giovani studenti di una yeshivà (una scuola per gli studi biblici e talmudici) poco a nord di Hebron. I ragazzi facevano l’autostop intorno alle dieci di sera e sono stati raccolti da almeno due palestinesi che, secondo le indagini di polizia, li hanno uccisi poco dopo nei pressi del villaggio di Halhul. I cadaveri dei tre ragazzi sono stati trovati lunedì 30 in un terreno abbandonato tra Beit Khalil e Halhul.
Durante i massicci controlli messi in atto per due settimane dalle truppe israeliane in Cisgiordania per ritrovare i tre connazionali, oltre 2.100 case ed edifici palestinesi sono stati perquisiti; 560 persone sono state arrestate e sei (sempre palestinesi) sono morte.
Martedì primo luglio, poche ore dopo la sepoltura, a Modiin, dei sedicenni Frenkel e Shaar e del diciannovenne Yifrach nel sobborgo di Beit Hanina, a nord del centro storico di Gerusalemme veniva rapito un altro adolescente, stavolta palestinese: Mohammed Hussein Abu Khdeir. Il suo corpo, carbonizzato, è stato ritrovato la mattina dopo in un bosco situato in un’altra zona della Città Santa.
Il governo israeliano ha accusato il movimento di Hamas per il rapimento e la morte dei tre ragazzi ebrei; a loro volta, le autorità palestinesi hanno chiesto conto agli israeliani della morte del giovane Mohammed, puntando il dito soprattutto contro i coloni e chiedendo che i colpevoli vengano individuati e puniti.
Nel frattempo, più a sud, proseguono da Gaza i lanci di razzi verso il territorio israeliano (fortunatamente senza vittime) e i bombardamenti notturni dell’aviazione di Israele su obiettivi localizzati dentro la Striscia (con feriti anche tra i civili).
Se questi ultimi omicidi hanno contribuito a rendere ancora più infiammabile la già difficile coabitazione tra i coloni israeliani e i palestinesi nei Territori occupati, hanno anche suscitato in qualcuno la ricerca di un senso per la sofferenza che colpisce entrambi i popoli della Terra Santa. Accanto alle proteste violente e agli slogan intrisi d’odio, a Gerusalemme vi sono anche state manifestazioni contro la violenza e il razzismo, da parte di organizzazioni che chiedono di contrastare il pandemonio generato dall’odio.
Papa Francesco, a poche settimane dal suo recente viaggio in Terra Santa, ha detto di condividere «il dolore indescrivibile» delle famiglie delle giovani vittime, così come «la sofferenza del popolo colpito dalle conseguenze dell’odio». Il Pontefice ha anche invocato nuovamente la pace e chiesto reazioni misurate, perché «la violenza chiama violenza e alimenta il circolo vizioso dell’odio».
«La visita di Papa Francesco in Terra Santa e l’invocazione per la pace in Vaticano avevano acceso molte liete speranze di pace», ha detto il patriarca latino di Gerusalemme. «È necessario fermare la logica perversa di coloro che discriminano tra vittime innocenti di una e dell’altra parte… Le persone innocenti che vengono uccise. Tutti gli innocenti uccisi, tutti i figli uccisi, sono vittime sacrificate sugli altari diabolici dell’odio».
Dal chiasso di questi giorni concitati emergono le voci dei familiari che non riabbracceranno mai più i loro figli e congiunti. In una breve intervista al New York Times, il padre di Mohammed, Hussein Abu Khdair, ha detto: «Ebreo o arabo che sia, chi mai accetterebbe che suo figlio o sua figlia venga rapito e ucciso? Chiedo a entrambe le parti di fermare lo spargimento di sangue». Nel giorno dei funerali del figlio, seppellito quest’oggi a Gerusalemme, la stampa riferisce che il padre di Mohammed ha chiesto alle autorità israeliane di individuare i colpevoli dell’omicidio e poi distruggere le loro case, come hanno fatto solo pochi giorni fa a Hebron con quelle dei presunti assassini (ancora in libertà) dei tre ragazzi israeliani.
In un’altra intervista, lo zio di Naftali Frenkel, Yishai, ha dichiarato a un giornale israeliano: «Se davvero un giovane arabo è stato ucciso per ragioni nazionalistiche, si tratta di un atto orribile e scioccante. L’omicidio è omicidio, qualunque sia la nazionalità e l’età della vittima. Non c’è giustificazione, perdono o espiazione per un omicidio».