Dilaga il virus del fondamentalismo in Medio Oriente: i jihadisti dello Stato islamico infatti sembrano ormai radicati anche in Arabia Saudita e Giordania. In entrambi i regni le autorità centrali si mobilitano per contrastarli, tanto con azioni di polizia, quanto con campagne di prevenzione sul versante culturale e religioso, dentro e fuori le moschee.
(c.g.) – Dilaga il virus del fondamentalismo in Medio Oriente: i terroristi dello Stato islamico infatti sembrano ormai radicati anche in Arabia Saudita e Giordania. Il 2 settembre il ministero dell’Interno saudita ha ammesso l’arresto di 88 persone (di cui oltre la metà cittadini del regno) sospettate di progettare attacchi terroristici in patria e all’estero. L’Arabia Saudita contribuisce da sempre – in termini di finanziamenti e di nuove «reclute» – alla missione fondamentalista dello Stato islamico, sia in Siria (in chiave di opposizione al regime di Bashar al-Assad), sia in Iraq (in chiave anti-sciita). Ora però, suo malgrado, Riyadh si scopre infettata dallo stesso virus fondamentalista che ha contribuito ad alimentare all’estero.
Il neonato Stato islamico sembra esercitare un grande fascino sulla popolazione saudita: il quotidiano Saudi Gazette ha pubblicato martedì i risultati di una ricerca secondo cui il 76 per cento dei cittadini sauditi dichiarerebbe di essere «felice che una vasta area dell’Iraq sia finita nelle mani dello Stato islamico»; mentre il 92 per cento sarebbe dell’idea che in fondo «lo Stato islamico sia un’autentica organizzazione musulmana».
Nei giorni scorsi in alcune importanti città del regno saudita, come Jeddah e Sharourah (che si trova nel deserto meridionale al confine con lo Yemen), sono comparse numerose scritte inneggianti allo Stato islamico. La situazione è grave se lo stesso gran muftì Sheikh Abdulaziz Al al-Sheikh, massima autorità religiosa del regno saudita, venerdì scorso durante la preghiera comune, ha ammonito i giovani sauditi a non rispondere alla chiamata alla jihad lanciata dallo Stato islamico, definito il «nemico pubblico numero uno». Molti giovani sauditi, infatti, continuano ad arruolarsi tra le fila dei terroristi. Era saudita, ad esempio, il terrorista che si è fatto esplodere in un hotel di lusso di Beirut a fine giugno; e in questi giorni i quotidiani di Riyadh parlano del caso di Naser Al-Shayeq, giovane saudita che poco più di un mese fa si era arruolato nelle forze dello Stato islamico in Iraq, portando con sé i suoi due figli Ahmad e Abdullah, di 10 ed 11 anni. Naser sarebbe stato scelto dai suoi superiori per una missione suicida, portata puntualmente a termine, lasciando orfani i due bambini.
Anche la Giordania rischia seriamente le infiltrazioni dei jihadisti dello Stato islamico. Lo scorso 22 giugno, nella città di Maan (nel deserto meridionale, vicino a Petra e non lontano dall’Arabia Saudita) si è svolta un’inedita manifestazione a favore dello Stato islamico. Le autorità giordane sono subito intervenute, ma la protesta, seppur episodica, è il segno di un pericoloso appoggio popolare goduto dai fondamentalisti.
Le truppe giordane sono schierate da mesi sul confine con Iraq e Siria, per evitare l’ingresso illegale di terroristi. Il problema è che attivisti e simpatizzanti dello Stato islamico sono probabilmente già entrati in Giordania, nascosti tra i 615 mila profughi accolti, secondo dati Onu, dal regno ashemita negli ultimi due anni. Un numero enorme di persone, in gran parte ospitato non in campi profughi ma disperso sul territorio e difficile da controllare. Una presenza che anche economicamente pesa in modo ormai insopportabile sul Paese e crea tensione sociale. Per contrastare la minaccia fondamentalista re Abdallah II lavora da mesi su più fronti: oltre a quello militare, sembra interessante quello della corretta «predicazione religiosa».
Secondo l’Inegma, Istituto degli Emirati che si occupa di analisi militare del Golfo e del Medio Oriente, la Giordania starebbe preparando una campagna di predicazione «alternativa» a quella dello Stato islamico, «arruolando» per questa missione due importanti religiosi musulmani. Il primo sarebbe Abu Muhammad al-Maqdisi, rilasciato da una prigione giordana a metà giugno. Gli scritti di al-Maqdisi, religioso fondamentalista, negli anni scorsi avrebbero contribuito ad ispirare l’azione dello stesso Abu Musab al-Zarqawi, il medico egiziano attuale capo di al Qaeda. Il secondo importante religioso islamico si chiama Abu Qatada. Per anni residente in Gran Bretagna, Abu Qatada è stato rimpatriato in Giordania nel luglio 2013 perché imputato in un processo con l’accusa di aver organizzato azioni terroristiche in Giordania nel 1998. A luglio è stato assolto dalle accuse e potrebbe presto lasciare il carcere. I due influenti predicatori avrebbero guadagnato la libertà a patto di iniziare a predicare in Giordania contro lo Stato islamico.
Un altro fronte dell’azione anti-terrorista di Abdallah è quello «ceceno». Il re di Giordania, intatti, è volato a metà giugno in Cecenia per parlare con il presidente Ramzan Kadyrov. I due avrebbero discusso una serie di accordi economici e militari. Nello specifico le autorità cecene si sarebbero impegnate ad aiutare la Giordania nella ricerca e nella cattura di terroristi ceceni che stanno combattendo nelle file dello Stato islamico. Un corpo dell’esercito giordano, tra l’altro, il 71.mo battaglione anti terrorismo, è composto in parte anche da circassi, minoranza della popolazione discendente da immigrati ceceni che migrarono in Giordania tra l’Ottocento e il Novecento.