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Paolo VI, il grande cuore

Alfredo Pizzuto
18 settembre 2014
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Paolo VI, il grande cuore
Il patriarca Atenagora abbraccia Paolo VI a Gerusalemme nel gennaio 1964.

«Io vedo Lei, La vedo, senza adularLa, negli Atti degli Apostoli. La vedo nelle lettere di san Paolo di cui porta il nome; Sa come la chiamo? ho megalòkardos, il Papa dal grande cuore!» Così si espresse il patriarca Atenagora la sera del 5 gennaio 1964 quando i microfoni della Rai rimasero accesi e la conversazione riservata tra i due non fu protetta dalla segretezza desiderata. La cosa sorprendente è che il patriarca di Costantinopoli definì Paolo VI «il papa dal grande cuore» solo sei mesi e mezzo dopo la sua elezione sulla cattedra di Pietro. Come fece Atenagora a qualificare in così breve tempo l’animo, lo stile, l’indole e la sensibilità di Papa Montini?

Il patriarca Atenagora non era nuovo a queste sante illuminazioni. Fu lui che associò alla persona di Papa Giovanni XXIII il passo evangelico: «Venne un uomo, mandato da Dio, il cui nome era Giovanni» tanto che, dopo la sua morte, il mondo ortodosso lo considerò santo e lo propose come patrono dell’ecumenismo.

Paolo VI ha raccolto il testimone dalle mani di Giovanni XXIII e ha proseguito nella rotta dell’ecumenismo a lui già familiare. Il fatto è che Atenagora era convinto nel dargli l’appellativo di megalòkardos, eppure non poteva immaginare le azioni di Paolo VI durante i 15 anni che seguiranno… Forse aveva sentito in anticipo, come per rivelazione, ciò che davvero con cuore dilatato Paolo VI dirà nell’omelia di chiusura del concilio Ecumenico Vaticano II due anni dopo dal loro primo incontro: «Nessuno è estraneo, nessuno è escluso, nessuno è lontano. Ognuno è un chiamato, un invitato; è, in certo senso, un presente. Lo dica il cuore di chi ama: ogni amato è presente! (…) Questo Nostro universale saluto rivolgiamo anche a voi, uomini che non Ci conoscete; uomini, che non Ci comprendete; uomini, che non Ci credete a voi utili, necessari, ed amici; e anche a voi, uomini, che, forse pensando di far bene, Ci avversate! Un saluto sincero, un saluto discreto, ma pieno di speranza; ed oggi, credetelo, pieno di stima e di amore» (Paolo VI, Omelia 8.12.1965, ora in Insegnamenti III, 1965, pp. 744-745).

Concetti simili e anche più sublimi ricorrono con ritmo costante nel suo dire, nei suoi discorsi ed omelie, encicliche ed esortazioni apostoliche dovunque si trovasse, a San Pietro come papa o, come vescovo di Roma, nelle borgate e nelle parrocchie, tra i lavoratori nei loro cantieri, in Italia e nel mondo avendo egli inaugurato, sulle orme di Paolo, i cosiddetti viaggi apostolici toccando i quattro punti cardinali del pianeta. Tutto questo Atenagora aveva visto e sentito, da vero profeta, condensandolo in quel suo «ho megalòkardos». Di più: amava chiamarlo Paolo II, secondo solo a san Paolo.

Paolo VI aveva pensato al viaggio in Terra Santa e aveva riassunto il programma in un appunto che porta la data del 21 settembre 1963 (cfr Terrasanta, n.6 -2013, pp. 28-32). In quell’annotazione si accenna, come fine subordinato (fine del terzo punto), al «tentativo di un incontro fraterno, preludio di più stabile riconciliazione, con le varie denominazioni cristiane separate ivi presenti» ma non aveva né pensato né immaginato un incontro con Atenagora. Quando, a chiusura della seconda sessione del Concilio, egli dà l’annuncio ufficiale del suo pellegrinaggio, la finalità ecumenica occupa il secondo posto.

È a questo punto che si inserisce il patriarca di Costantinopoli. Lo deduciamo dalle sue stesse parole in quel colloquio pervenutoci attraverso la registrazione involontaria avvenuta a Gerusalemme.

Atenagora: «Quando appresi dai giornali che Lei aveva deciso di visitare questo Paese, mi venne immediatamente l’idea di esprimere il desiderio d’incontrarLa qui ed ero sicuro che avrei avuto la risposta di Vostra Santità…». E Paolo VI: «Positiva». Di rimando Atenagora: «Positiva, perché ho fiducia in Vostra Santità».

Paolo VI accettò quella provvidenziale proposta pervenutagli dal patriarca ecumenico senza curarsi delle resistenze da parte di quel drappello curiale che fu perfino costretto a rivedere l’itinerario del pellegrinaggio per far posto a quello che sarà l’incontro che lascerà il segno nella storia della Chiesa di Cristo. Tanto che lo stesso Paolo VI appena rientrato a Roma, alla folla che sostava in piazza san Pietro, nonostante l’ora tarda, dalla finestra del suo studio comunica: «Voi avete compreso che il mio viaggio non è stato soltanto un fatto singolare e spirituale: è diventato un avvenimento, che può avere una grande importanza storica. È un anello che si collega ad una tradizione secolare; è forse un inizio di nuovi eventi che possono essere grandi e benèfici per la Chiesa e per l’umanità» (Paolo VI, Discorso del 6.1.1964, in Insegnamenti II – 1964, p. 60).

Quell’incontro cominciò a produrre buoni frutti: gli stessi padri conciliari, sotto l’azione dello Spirito Santo, avranno un impulso speciale quando lavoreranno al decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio nel novembre di quello stesso anno. Sempre nel 1965, il 7 dicembre, a Roma Paolo VI e a Costantinopoli Atenagora annunceranno l’annullamento delle reciproche scomuniche perdurate 900 anni. La ferita incancrenita da troppo tempo venne finalmente sanata.

Paolo VI e Atenagora divennero veri amici con una amicizia singolare che durò oltre la morte del patriarca di Costantinopoli (7 luglio 1972). In quell’occasione il Papa dal grande cuore comunicò a tutti che il suo «ricordo accresce ora il nostro rimpianto e la nostra speranza d’averlo ancora Fratello a noi vicino nella Comunione dei Santi» (Paolo VI, Angelus del 9.7.1972, in Insegnamenti X – 1972, pp. 730-731).

Proprio nella comunione dei santi (che guardano i fratelli ancora pellegrini in questo mondo) Atenagora avrà visto nella Cappella Sistina, il 14 dicembre 1975, Paolo VI fare un nuovo gesto di umiltà tra i più alti del suo pontificato,  quando si prostrò a baciare i piedi del metropolita Melitone che rappresentava il suo successore Demetrio e quindi la Chiesa ortodossa.

«Tre volte noi avemmo la fortuna d’incontrarci personalmente con lui; e cento volte di scambiare con lui corrispondenza scritta…», così Paolo VI ricorda Atenagora ai fedeli riuniti in piazza san Pietro per l’Angelus del 9 luglio 1972, dopo due soli giorni dalla morte dell’amico aggiungendo che egli era tra quelli che «lo hanno maggiormente amato e stimato». Atenagora per lui aveva  sempre avuto un’amicizia e una fiducia che generava commozione. Dell’amico, nella stessa circostanza dell’Angelus del 9 luglio 1972, Paolo VI parlò come di un «grande uomo» pieno di «bontà evangelica»: di lui «tutto il mondo ne ha parlato con l’ammirazione e con la riverenza dovuta agli uomini superiori che personificano un’idea che investe i destini della storia e tende a interpretare il pensiero di Dio» .

Come gli amici cappadoci (Gregorio e Basilio) anche Atenagora e Paolo VI hanno onorato e vissuto la loro amicizia sforzandosi di fare in modo che il primo fosse sempre l’altro e così se l’uno è definito «grande cuore» l’altro è qualificato «grande uomo» (ho megalòs anthropos).

Atenagora è stato un grande uomo davvero e la sua grandezza emerge maestosa, come il suo aspetto fisico, quando scrive di sé stesso: «Occorre fare la guerra più dura, che è quella contro se stessi. Bisogna riuscire a disarmarsi. Ho fatto questa guerra per anni ed è stata terribile. Ma, adesso, sono disarmato: adesso non ho più paura di nulla, perché l’amore caccia via il timore. Sono disarmato dalla cupidigia di aver ragione: di giustificarmi squalificando gli altri. Non sono più in guardia sospettosa e difensiva, gelosamente aggrappato alle mie ricchezze. Accolgo e condivido. Non tengo, in modo particolare, alle mie idee, ai miei progetti; se me ne vengono presentati di migliori, o anche non migliori ma buoni, li accetto senza rimpianti. Ho rinunziato al comparativo di maggioranza. Ciò che è buono, reale, vero, è sempre il meglio per me. Ecco perché non ho più paura. Se ci si disarma, se ci si spossessa, se lo Spirito ci dà grazia di aprirci al Dio-Uomo che fa nuove tutte le cose, allora Lui cancella il brutto passato, ci rende un tempo totalmente nuovo, nel quale tutto è veramente possibile».

E così Atenagora, il grande uomo, e Paolo VI, il grande cuore, hanno camminato spediti, convinti e sicuri sulla strada dell’unità come aveva detto il patriarca al papa sul Monte degli Ulivi: «Possa questo nostro incontro essere l’alba del luminoso e sacro giorno in cui le future generazioni cristiane condivideranno lo stesso Calice… Ecco, abbracciandoci l’un l’altro, insieme incontriamo il Signore. Pertanto proseguiamo il sacro cammino che si apre dinanzi a noi. Allora Egli si avvicinerà a noi e camminerà con noi, come fece un tempo con i due discepoli sulla strada di Emmaus». E il papa al patriarca: «Dopo secoli di silenzio e di attesa, la Chiesa cattolica e l’Ortodossia nuovamente si rendono presenti nella persona dei loro rappresentanti più alti». Paolo VI aggiunse anche: «Le vie che conducono all’unità possono essere lunghe e piene di difficoltà. Ma le due strade convergono l’una verso l’altra e giungono alle sorgenti del Vangelo»

Quanto sarebbe bello ed autenticamente ecumenico poter vedere nella prossima domenica 19 ottobre accanto al papa dal grande cuore con l’aureola dei beati anche il patriarca, suo amico e grande uomo, con la stessa aureola, abbracciati come a Gerusalemme.

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