Il numero di settembre-ottobre 2014 del bimestrale Terrasanta ospita un’intervista di Carlo Giorgi a don Antonio Mazzi, che racconta il suo legame con la regione che fu teatro degli eventi biblici. «La Terra Santa – dice don Antonio – è terra di un popolo in cammino. E dove c’è cammino c’è già liberazione». Ecco alcuni stralci della conversazione.
Il numero di settembre-ottobre 2014 del bimestrale Terrasanta ospita un’intervista di Carlo Giorgi a don Antonio Mazzi. Il quale ci parla del suo legame particolarmente intenso con la terra che fu teatro degli eventi biblici. «La Terra Santa – dice don Antonio – è terra di un popolo in cammino. E dove c’è cammino c’è già liberazione». Vi anticipiamo alcuni passaggi della conversazione.
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Don Antonio Mazzi, prete di strada, autore di best seller, volto televisivo molto noto, poco prima di compiere 85 anni si è fatto un regalo: ha scelto di recarsi per l’ennesima volta in Terra Santa. Un pellegrinaggio importante, in un luogo che ama come nessun altro. Gli ultimi trent’anni della sua intensissima vita don Antonio li ha dedicati alla Fondazione Exodus, che si occupa di indicare ai ragazzi tossicodipendenti un nuovo cammino di vita, in alternativa a quello di morte in cui erano caduti.
«Assieme a Santiago de Compostela, la Terra Santa è sicuramente la meta di pellegrinaggio che preferisco – racconta don Mazzi –. Nella mia vita ci sarò andato almeno dieci volte… In Terra Santa mi piacciono soprattutto i luoghi non costruiti, gli spazi aperti: quando vado, ad esempio, preferisco dire la messa nel deserto, i santuari li lascio agli altri: per me il deserto è affascinante in tutti i sensi; c’era al tempo di Cristo e c’è ancora oggi, mentre degli altri luoghi non ne sono sicuro. Un altro posto che mi affascina sempre è il Lago di Tiberiade e tutto quello che c’è intorno. Ogni volta che posso, mi prendo del tempo per camminare. E poi la collina delle Beatitudini e il giardino del Getsemani, con i suoi ulivi. Ci sono alberi che amo molto e l’ulivo è uno di questi. A me piace il Vangelo perché è il Vangelo dei non luoghi, delle non strutture, della strada. Il Vangelo della semplicità. Per me questo è il Vangelo concreto. Ogni volta che vado giù mi porto a casa qualcosa proprio perché cerco di andare dove penso che ci sia stato in qualche maniera un passaggio di Cristo».
Che cosa trova don Mazzi in Terra Santa?
Più della Parola, il silenzio. In quei luoghi ognuno ha diritto di sentire quello che ha dentro, anche di dissentire… A me la Palestina piace perché, in fondo in fondo, è tutto tranne che istituzione: lì è il luogo dove Cristo ha detto che il tempio di Dio non è fatto di mattoni e dove il rapporto con Dio è diventato uno dei rapporti più semplici. Sono molto legato alla preghiera del Padre Nostro, che è la sintesi del Vangelo: nelle ultime righe c’è scritto «non ci indurre in tentazione». Mi sembra un richiamo all’Esodo. Lo tradurrei come «liberaci dalla tentazioni». Il Vangelo soprattutto è iconoclastia: ha buttato giù tutto quel che in qualche maniera assomigliava alle statue, tutto quello che ci portava lontano. Nel Padre nostro, quel «nostro» significa che Dio da lontano diventa vicino: il cielo che diventa terra e la terra che diventa cielo, quindi lì salta la lontananza. Mentre per le altre religioni c’è un Dio lontano, per noi c’è questa cosa straordinaria. Per cui quando so che devo andare in Terra Santa, gli esercizi spirituali li faccio lì, non guido io il pellegrinaggio ma mi accodo, preferisco essere guidato e non guidare; non tanto perché voglio sentire quello che dicono ma perché voglio vivere queste emozioni che mi lasciano sempre molto.
Il progetto educativo che ha fondato trent’anni fa si chiama Exodus ed è un riferimento al libro dell’Esodo, che racconta il cammino del popolo d’Israele verso la Terra promessa. Che cosa c’è di formativo, di educativo nella Terra Santa?
È tutto è educativo, anche perché l’uomo che cammina è un uomo «in educazione», è un uomo «in liberazione». Il libro su cui riflettiamo noi è l’Esodo; ma in tutta la Bibbia, a ben vedere, dove si cammina c’è liberazione. Questo è il grande concetto che è stato ripreso anche da Papa Francesco. Per cui non c’è bisogno di grandi teorie. Il problema è che abbiamo dentro di noi una montagna di testi, di carte, che non diventeranno mai sangue. Perché dove c’è teoria, non c’è verità. Tanto è vero che Cristo ad un certo punto ha detto, «cercate la verità? Eccomi!» Noi invece abbiamo trasformato l’educazione, il Vangelo, la fede in teorie. C’è una grande presenza di teorie e una grande assenza di Spirito. E questa è la morte del Vangelo.
Ci racconti dell’ultima volta che è andato in Terra Santa…
Ci sono stato solo pochi mesi fa, accompagnato proprio da un francescano, il Commissario di Terra Santa per la Lombardia fra Francesco Ielpo. Quando nel 1984 iniziammo l’avventura di Exodus, eravamo simbolicamente partiti con una carovana. Oggi, a trent’anni di distanza, io mi sto preparando a «lasciare l’eredità»; così abbiamo fatto un gesto per me pieno di significato: un pellegrinaggio in Terra Santa con le 6-7 persone a cui lascerò la Fondazione Exodus, perché volevo in qualche modo simbolicamente battezzarle. Abbiamo fatto una piccola carovana e nel deserto, sulla strada da Gerusalemme a Gerico, quella della parabola del buon Samaritano, abbiamo acceso una fiaccola che ora verrà portata in tutte le comunità ed i centri di Exodus. Poi il Padre Eterno farà quel che vorrà.