Anche quest’oggi da Gerusalemme giungono notizie di scontri e violenze sulla Spianata delle moschee. Luogo che gli ebrei preferiscono chiamare Monte del Tempio, perché qui sorse, fino alla distruzione nel 70 d.C., il centro del loro culto. Nel numero di novembre-dicembre del bimestrale Terrasanta, mons. David M. Jaeger si sofferma sul tema nella sua rubrica Orizzonti, che qui anticipiamo.
Anche quest’oggi da Gerusalemme giungono notizie di scontri e violenze sulla Spianata delle moschee, che gli ebrei preferiscono chiamare Monte del Tempio, perché qui sorse, fino a quando fu distrutto dai romani nel 70 d.C., il luogo centrale del loro culto. Nel numero di novembre-dicembre del bimestrale Terrasanta, mons. David M. Jaeger svolge alcune considerazioni sul tema nella sua rubrica Orizzonti, che qui di seguito anticipiamo.
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Mentre scrivo giungono notizie di rinnovate tensioni in Gerusalemme, provocate da elementi di una nuova destra ultra nazionalista, atipica per Israele, che ostentano il delirante desiderio di impadronirsi della zona dell’antico Tempio di Salomone, ove sorgono da molti secoli due dei massimi santuari dell’Islam (di proprietà del Waqf, ossia della fondazione pubblica incaricata della gestione dei luoghi sacri musulmani). Il primo ministro di Israele ha messo in rilievo come tali pretese siano una minaccia per la pace e la sicurezza del Paese. Le forze dell’ordine fanno la loro parte, ma la smodata retorica degli zeloti, e la loro propensione a farla seguire dagli atti, non conoscono tregua, suscitando tra i musulmani inquietudini e reazioni altrettanto poco contenute. Si teme, per l’ennesima volta, l’innescarsi di una spirale di reciproche aggressioni nella città che ha la pace come propria vocazione.
Chi conosce l’ebraismo e Israele sa che entrambi sono stati, almeno finora, del tutto estranei alla brama di possedere l’ex Monte del Tempio. Il delirio di codesti «ultrà del Tempio» è tutto nuovo e gratuito. E interessa soltanto un’infima parte degli israeliani, il resto dei quali guarda agli eventi con inorridita sorpresa. Certo, la distruzione del Secondo Tempio, nell’anno 70 d.C., è rimasta nella memoria collettiva come un evento traumatico; e da allora tante preghiere ebraiche anelano al suo ripristino. Ma già al tempo in cui il magnifico edificio erodiano veniva distrutto, l’ebraismo aveva effettivamente superato il culto che in esso si rendeva, diventando religione della Parola Divina, diretta ad un «culto in spirito e verità», non più allo spargimento del sangue di agnelli e montoni. Nei due millenni che ne sono seguiti, l’anelito per il ristabilimento del Tempio non era che la forma letteraria data alla speranza escatologica, il cui compimento, sempre in senso spirituale, si troverebbe comunque soltanto oltre il mondo presente.
Maimonide (1135-1204), il celebre filosofo e teologo, che si potrebbe forse definire l’omologo ebraico di san Tommaso d’Aquino, sosteneva che il culto sacrificale già praticato nel Tempio altro non sarebbe stato se non una fase della pedagogia divina, volta a stroncare la prassi idolatra dei sacrifici umani. Raggiunta la maturità religiosa, rappresentata dal culto spirituale della sinagoga, non si sarebbe più data, diceva Maimonides, una gratuita regressione verso barbarie da lungo superate.
I fondatori del movimento nazionale ebraico dei nostri tempi, che risale al tardo Ottocento, e che idealmente condivideva non poco con il Risorgimento italiano, compresa la sua laicità, non pensavano affatto all’antico Tempio, dirigendosi piuttosto alla costruzione di un miglior futuro in uno Stato liberale. I rabbini stessi, per impedire che si abusasse delle bellissime preghiere che esprimono nostalgia per il Tempio del Signore, hanno da molti secoli stabilito la scomunica automatica per chi, prima della fine dei tempi, avesse osato anche solo salire sul luogo ove anticamente sorgeva il Tempio.
Ne sono personalmente testimone. Da fanciullo, non sentivo mai nessuno in Israele ipotizzare alcunché di diverso. Con «il Tempio» si intendeva una sublime realtà messianica, non un santuario altrui da invadere con la forza. I «piromani» (così gli editorialisti israeliani) che cercano di provocare, in Gerusalemme, attorno agli ex-locali dell’antico Tempio, una guerra di religione con i musulmani, che ne sono da tanti secoli in possesso, hanno dunque inventato la loro ideologia «dal nulla». Ed è bene che lo sappiano, non solo gli israeliani (che questo lo sanno bene), ma anche i musulmani, che guardano preoccupati, e così pure noi cristiani, che più di tutto vogliamo vederli vivere in pace gli uni con gli altri. E noi con loro.
mons. David M. Jaeger