Gli Stati arabi scelgono, con sempre maggiore decisione, la cooperazione militare per opporsi al sedicente Stato Islamico. Nei giorni scorsi il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e il re giordano Abdallah erano a Riyadh per discutere con il nuovo sovrano saudita il progetto di coordinamento tra gli eserciti di Egitto, Arabia Saudita, Emirati e Giordania.
(c.g.) – Gli Stati arabi scelgono, con sempre maggiore decisione, la cooperazione militare per opporsi al sedicente Stato Islamico. Domenica 1 marzo, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi è volato a Riyadh per parlare con Salman Bin Abdul Aziz Al Saudi, il nuovo sovrano saudita, del progetto di una grande forza militare pan-araba, che coinvolga e coordini gli eserciti di Egitto, Arabia Saudita, Emirati e Giordania. Una forza «non offensiva», ha spiegato al Sisi, ma in grado di difendere i confini e la stabilità degli Stati che ne fanno parte, attraverso un comune lavoro di intelligence e di cooperazione militare.
L’idea di un esercito pan-arabo da opporre alla minaccia dello Stato Islamico non è nuova, ma è un fatto che i leader delle nazioni confinanti con Siria ed Iraq, negli ultimi giorni abbiano compiuto passi importanti per rendere la collaborazione concreta e operativa: lunedì 23 febbraio, l’esercito libanese ha ricevuto una fornitura di carri armati e armi d’artiglieria dall’esercito giordano. Il giorno dopo ha sferrato un attacco contro avamposti dello Stato Islamico nella Valle della Bekaa, riconquistando alcuni villaggi libanesi precedentemente occupati dai terroristi. Il clima in Libano sembra cambiato: il capo di stato di stato maggiore, il generale Jean Kahwagi ha chiarito che oramai sono mutate le regole d’ingaggio contro i terroristi: «L’esercito non si limiterà a difendere – ha spiegato – attaccheremo invece a spada sguainata». Il generale Kahwagi, pur non essendo un politico, è una personalità sempre più autorevole nel Paese, dove la carica di presidente della Repubblica è vacante ormai da nove mesi.
Tra i più convinti sostenitori della cooperazione tra Stati arabi c’è re Abdallah II di Giordania, che in Arabia Saudita ha incontrato re Salman il 25 febbraio. Il giorno dopo il re giordano era al Cairo, per incontrare il presidente egiziano. Domenica, come dicevamo, Al-Sisi ufficializzava a Riyadh la proposta dell’esercito pan-arabo. Giordania, Libano, Egitto ed Arabia Saudita vedono nella cooperazione militare una diga al dilagare del fondamentalismo armato nei loro territori.
D’altra parte questi Paesi, pur non avendo la guerra in casa, stanno già scontando alcune tragiche conseguenze del conflitto in Siria e in Iraq. Libano e Giordania, ad esempio, condividono le conseguenze dell’invasione di profughi nel loro territorio: secondo i dati Onu, in Libano i siriani scappati dalla loro patria sarebbero 1,2 milioni (oltre il 20 per cento della popolazione), mentre in Giordania oltre 600 mila (quasi il 10 per cento). In questi Paesi i profughi, pur avendo diritto all’accoglienza, non potrebbero lavorare: aprire infatti il mercato del lavoro a queste persone significherebbe aumentare in modo sproporzionato l’offerta di manodopera e, di conseguenza, il numero dei disoccupati tra i cittadini locali. Il fatto è che sia in Libano, sia in Giordania, centinaia di migliaia di siriani per sopravvivere scelgono comunque di lavorare illegalmente, in nero e in condizioni di sfruttamento. Ciò provoca una sorta di «concorrenza sleale» nei confronti dei lavoratori locali, molti dei quali perdono il posto, con un aumento generale della povertà del Paese. Per questa ragione, sia in Libano (dal mese di dicembre), sia in Giordania (da febbraio) si stanno svolgendo severe campagne di controllo da parte di autorità e forze dell’ordine, con l’obiettivo di scovare i moltissimi lavoratori siriani irregolari.