Si sono candidate, sono state elette, ma poi sono state relegate in un angolo dagli uomini nei consigli comunali. E allora hanno creato «governi ombra» al femminile. È la strategia messa in atto a partire dal 2012 dall’Associazione delle donne lavoratrici palestinesi per lo sviluppo, che si occupa di fornire alle donne palestinesi strumenti di emancipazione.
Si sono candidate, sono state elette, ma poi sono state relegate in un angolo dagli uomini nei consigli comunali. E allora hanno creato «governi ombra» al femminile. È la strategia messa in pratica a partire dal 2012 dall’Associazione delle donne lavoratrici palestinesi per lo sviluppo (Pwwsd, Palestinian Working Women Society for Development), ong fondata nel 1981 e che si occupa di fornire alle donne palestinesi strumenti di emancipazione in una società ancora strutturalmente patriarcale.
«Da anni Pwwsd lavora sul piano politico, economico e legale per superare un divario ancora radicato: molte donne non conoscono i propri diritti e quindi non sono in grado di difenderli – ci spiega Reham Alhelsi, direttrice del programma dell’organizzazione –. Attraverso laboratori, formazione, attività sul campo intendiamo creare una nuova leadership femminile che migliori il livello di partecipazione delle donne al processo decisionale. Uno degli strumenti sono i consigli ombra».
Nel 2012, durante l’ultima tornata di elezioni amministrative, la società civile palestinese ha incoraggiato la candidatura delle donne, forte della legge nazionale che stabilisce una quota rosa del 20 per cento: un quinto dei consiglieri comunali e dei parlamentari deve essere donna.
«All’epoca abbiamo sostenuto la formazione di due liste tutte al femminile, per evitare che le donne finissero in fondo a quelle presentate dai partiti guidati da uomini – continua Reham –. Abbiamo formato squadre di monitoraggio per sorvegliare le attività dei seggi ed evitare che le donne fossero costrette a votare familiari o conoscenti. E infine abbiamo lavorato sulle campagne elettorali delle candidate donne. Le elezioni amministrative si sono concluse con 140 donne elette tra quelle sostenute dalla nostra associazione, oltre l’80 per cento di loro è finito nei consigli comunali in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza».
Ma i problemi non erano certo terminati: una volta avviati i lavori delle nuove amministrazioni, le consigliere si sono ritrovate all’angolo. Tutte hanno segnalato problemi molto simili: meeting organizzati di sera o a mezzanotte, così da escludere la partecipazione delle donne (soprattutto nei villaggi più conservatori dove per una donna è difficile lasciare la propria abitazione in piena notte); riunioni organizzate senza informare i consiglieri donne che venivano così a conoscenza delle decisioni prese il giorno successivo; obbligo per le donne a firmare provvedimenti o leggi imposte dal resto del consiglio.
«Da questi ostacoli è nata l’idea di creare dei consigli ombra, ovvero formati dalle donne elette per monitorare le attività di quelli ufficiali. Oggi ce ne sono 35 in tutti i governatorati della Cisgiordania. Il consiglio ombra organizza attività parallele, discussioni sulle necessità della comunità, proposte di legge. Non vi prendono parte solo le consigliere regolarmente elette, ma anche altre donne del villaggio che così danno il loro contributo al processo decisionale».
«E l’idea funziona – aggiunge Reham –. Non solo i consigli ombra hanno individuato soluzioni a problemi concreti delle comunità di appartenenza, dall’approvvigionamento idrico alla raccolta dei rifiuti, dall’illuminazione notturna agli spazi verdi e gli asili nido, ma addirittura vengono invitati agli incontri dei ministeri dell’Autorità Nazionale Palestinese per discutere tematiche care a quella fetta di società ancora troppo esclusa: le donne».
E se in molti dei Comuni interessati ora è il sindaco stesso che chiede la partecipazione dei consigli ombra a quelli municipali, il successo di tale modello sta superando i confini palestinesi: il governo di Amman ha chiesto alla Pwwsd di presentare i consigli ombra in Giordania, così da poterli riproporre.
«L’obiettivo dei prossimi tre anni è creare consigli ombra in altre comunità dei Territori Occupati – conclude Reham – e di gettare le basi per una pianificazione di più ampio respiro: l’idea è di organizzare i consigli ombra in due grandi forum, uno a nord della Cisgiordania e uno a sud, forum che si incontrino due o tre volte l’anno per mettere sul tavolo le esperienze, i problemi, le vittorie e le sconfitte, per discutere di progetti comuni e per fare lobby sui ministeri e sul governo centrale».
Perché, al di là dei successi dei consigli ombra, la donna nella società palestinese continua a non rivestire un ruolo centrale: «Noi proseguiamo nella lotta alle discriminazioni contro le donne, legate a stretto filo con leggi patriarcali e una cultura che confina la donna al ruolo riproduttivo ignorando tutti i suoi altri ruoli e che la esclude dal processo decisionale», spiegano le socie di Pwwsd.
Un’organizzazione con un’esperienza che viene da lontano: già nel 1998 nacque un primo embrione dei consigli ombra, seppur all’epoca le donne nei consigli comunali fossero solo 65 contro oltre 3mila uomini. Quelle prime esperienze, però, hanno incoraggiato le donne e dopo una serie di insuccessi e piccoli passi in avanti, oggi si contano 35 consigli ombra, ognuno formato da 5-9 donne della comunità di riferimento.
Dietro resta una situazione ancora ben poco egualitaria: secondo i dati raccolti dal Ufficio Centrale Palestinese di Statistica e aggiornati al primo trimestre 2014, il tasso di disoccupazione femminile è pari al 36,5 per cento contro il 23,3 per cento di quello maschile. Ma allo stesso tempo se il tasso di occupazione degli uomini palestinesi di Gaza e Cisgiordania è pari al 72 per cento, quello femminile è bassissimo, il 19 per cento. Vero è che moltissime donne sono impiegate in agricoltura, nelle aziende di famiglia o nei negozi di padri o mariti. Ma ciò si traduce nella quasi totale assenza di diritti, per la mancanza di un reale contratto di lavoro e quindi di una maggiore indipendenza economica.
Il dato è preoccupante perché tra i più bassi del Medio Oriente, seppur le donne palestinesi siano tra le più istruite della regione: il livello di scolarizzazione tra le ragazze è più alto che tra i ragazzi (il 58 per cento degli studenti universitari e il 60 per cento di quelli delle scuole superiori è femmina, mentre il 94 per cento delle donne palestinesi è alfabetizzato).
Nonostante ciò il divario di genere nell’ambiente di lavoro, nel settore economico e in quello politico resta amplissimo: una volta laureati, la strada verso l’occupazione resta sbarrata.