La notizia è di metà aprile. Israele starebbe discutendo con il Ruanda un accordo multimilionario in grado di ricacciare oltre frontiera centinaia di immigrati sudanesi ed eritrei. Il pacchetto (la cui definizione è rallentata solo dallo stallo nella formazione del governo israeliano) prevede l’accoglienza in Ruanda, in cambio di accordi commerciali di favore e sovvenzioni da milioni di dollari. La trattativa è stata confermata dallo stesso presidente ruandese Paul Kagame, e dal ministro dell’interno israeliano Gilad Erdan. Secondo fonti di stampa, Israele (che si dice abbia una trattiva simile anche con l’Uganda) avrebbe messo sul piatto il volo gratuito e 3.500 dollari a persona. Un bel gruzzolo per degli immigrati irregolari (forse 50 mila, la maggior parte sudanesi ed eritrei provenienti dall’Egitto), in condizioni di grave difficoltà.
Il tema dei migranti (clandestini, profughi e richiedenti asilo), ma anche di coloro che vivono nel Paese con un visto di lavoro, è di quelli che toccano in profondità l’opinione pubblica israeliana. Il ministro dell’Interno del precedente esecutivo di Benjamin Netanyahu, Gideon Sa’ar, ha più volte sostenuto che nella maggior parte dei casi si tratta di immigrati economici illegali, e non di richiedenti asilo (verso i quali Israele avrebbe invece ben diversa attenzione). Di qui la scelta di intraprendere una politica di incentivi al rimpatrio o all’accoglienza in Paesi terzi che sta suscitando però ampie proteste da parte delle associazioni umanitarie sia israeliane che internazionali.
Sta di fatto, però, che la presenza e le condizioni di vita di molti migranti stanno diventando proibitive. La Pastorale dei migranti in Israele ha reso noto che un lattante di quattro mesi è deceduto a metà marzo in un nido sovraffollato di Tel Aviv destinato ai figli dei migranti, soprattutto eritrei. Il bambino avrebbe avuto solo due mesi e il fatto sarebbe avvenuto in uno degli asili improvvisati (e illegali) dove le mamme immigrate lasciano i figli durante il lavoro. Talvolta un solo adulto si occupa di dieci bambini di età tra un mese e i tre anni.
Di questo problema ci siamo appunto occupati nella nostra Storia di copertina (pp. 12-15), che segnala in tutta la sua gravità la situazione. I piccoli dei migranti (costretti a lavorare per un salario minimo per provvedere alle necessità primarie della sopravvivenza), a causa di un’attenzione insufficiente, di cure e cibo scadente, sviluppano patologie di varia natura (psicologiche, motorie, sociali). Alcuni di loro incontrano anche la morte, spesso in seguito a soffocamento. Sarebbero una decina le piccole vittime di cui si ha notizia, solo negli ultimi mesi.
Il vicariato cattolico per gli ebreofoni, per soccorrere le famiglie, ha avviato una collaborazione con gli organismi umanitari che fanno capo alle Nazioni Unite per offrire una risposta a queste situazioni così precarie.
Dopo quello di Gerusalemme un luogo per l’accoglienza dei bambini dei migranti è stato recentemente aperto a Tel Aviv, presso il Centro Nostra Signora Donna di Valore. Preso letteralmente d’assalto dalle mamme, il nuovo nido è già insufficiente. Serve con urgenza un piano d’aiuto, fa sapere la Chiesa locale, per offrire una possibilità di vita a tanti piccoli abbandonati a se stessi.