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Il nuovo canale di Suez, tra mito, sarcasmo e Paese reale

di Elisa Ferrero
7 agosto 2015
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«Il dono dell’Egitto al mondo», «L’Egitto esulta», «Viva l’Egitto!». Con questi slogan è stato inaugurato giovedì 6 agosto il «nuovo canale di Suez» o, più prosaicamente, il raddoppio di un tratto del canale, lungo 35 chilometri. La giornata è stata l’occasione per intensificare la propaganda nazionalista e celebrare i miti fondatori dell’Egitto, antico e moderno. Ma ha dato alle opposizioni l'occasione per lanciare nuovi strali al raìs. Gli egiziani hanno comunque gioito e ora si interrogano sui benefici per l'economia.


«Il dono dell’Egitto al mondo», «L’Egitto esulta», «Viva l’Egitto!». Con questi slogan è stato inaugurato giovedì 6 agosto il «nuovo canale di Suez» o, più prosaicamente, il raddoppio di un tratto del canale, lungo 35 chilometri.

Da un lato, la giornata è stata l’occasione per intensificare ancor più la propaganda nazionalista e celebrare i miti fondatori dell’Egitto, antico e moderno, giocando con i simboli. Il presidente Abdel Fattah el-Sisi, indossando la divisa militare (per la seconda volta dopo la sua elezione), si è imbarcato a Ismailiya sullo storico yacht Al-Mahrousa, lo stesso che, nel 1869, attraversò per primo il canale appena costruito, trasportando il khedivè Ismail (e, ironicamente, anche lo stesso che portò re Farouq in esilio dopo la rivoluzione degli Ufficiali Liberi).

Ad accompagnare el-Sisi su Al-Mahrousa, novella «arca di Noè» messaggera di rinascita, i rappresentanti di tutti i gruppi sociali egiziani, a ricordare l’identità nazional socialista, ancora forte, che il regime di Gamal Abdel Nasser impresse sul Paese; sullo yacht, c’era anche un bambino malato di cancro, sventolante la bandiera egiziana, che ha realizzato il suo sogno di incontrare il presidente. A vegliare sulla traversata di Al-Mahrousa, dal cielo, elicotteri, F16 e i Rafale nuovi di zecca acquistati dalla Francia; dal basso, una flotta di navi dell’Autorità del Canale. Su una di queste, l’Aida 4 (nome ovviamente non casuale), navigava Marwa el-Slehdar, ventiquattro anni, prima donna egiziana a diventare capitano di marina. A salutare il passaggio di Al-Mahrousa, trombettieri con copricapi da antichi egizi, frecce tricolori e banda militare. Poi, giunto al luogo della cerimonia ufficiale, el-Sisi è sbarcato tornando a indossare abiti civili per accogliere le delegazioni internazionali, con speciale attenzione al presidente francese François Hollande che è stato fatto sedere al suo fianco. El-Sisi ha improvvisato il suo discorso, esplicitamente rivolto agli egiziani. Infine, la giornata di festa si è conclusa con la musica dell’Aida di Giuseppe Verdi (la cui prima fu proprio in Egitto, nel 1871), suonata dai giovani musicisti dell’Opera House del Cairo, sotto la direzione del grande maestro Omar Khayrat. Per fortuna, non c’è stato nessun incidente, nonostante l’ombra lunga dello Stato Islamico che aveva minacciato attentati.

Questa è stata la celebrazione del mito. Ma il mito non poteva che attrarre il sarcasmo degli oppositori del governo, che si sono scatenati sui social network con battute, vignette e commenti salaci, diretti soprattutto alla figura del presidente. Smontando la narrazione che la scenografia dei festeggiamenti pensava di aver sapientemente costruito, senza accorgersi delle contraddizioni che la rendevano facile bersaglio di ironia, la traversata di el-Sisi su Al-Mahrousa è stata laconicamente riassunta come: «Presidente civilmente eletto si imbarca su yacht regale indossando la divisa militare». La simbologia delle celebrazioni è stata così rovesciata, interpretata come l’espressione della megalomania e delle ambizioni assolutistiche di un dittatore.

Ma il 6 agosto, fra il mito e la demonizzazione, c’era anche il Paese reale che ha sinceramente gioito, e non per ordine del regime. Dai cittadini più semplici a quelli più acculturati, tutti hanno seguito l’inaugurazione, ognuno festeggiando a modo suo, senza tuttavia lasciarsi accecare dalla propaganda nazionalista. La speranza che questa impresa – anche se non proprio paragonabile alla costruzione delle piramidi, come vorrebbe qualche voce zelante pro-regime – possa davvero aiutare l’economia egiziana a ripartire, è molto sentita. Prova ne sia la partecipazione popolare al finanziamento dei lavori, che è andata oltre le aspettative. L’88 per cento dei fondi usati per il raddoppiamento del canale (8,2 miliardi di dollari) proviene infatti da privati cittadini, anche poco abbienti, che in due settimane soltanto hanno esaurito i bond emessi dalla Banca Nazionale egiziana per finanziare l’opera. Non è un dato che si possa trascurare.

Detto ciò, l’Egitto è pronto a discutere dei reali benefici di quest’impresa al di là delle retoriche contrapposte, consapevole che, con il settore turistico in crisi (seppur apparentemente in ripresa), il canale di Suez è l’ultima grande risorsa economica rimasta che vale la pena tenersi cara. La vera domanda, tuttavia, è se i proventi attesi dal raddoppiamento del canale serviranno a migliorare l’economia del Paese o solo quella militare. Serviranno, per esempio, a riparare gli ospedali, le scuole, le strade e tutte le altre infrastrutture fatiscenti? Intanto, si torna a parlare di elezioni parlamentari…

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