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Profughi in Grecia, l’esperienza di un frate della Custodia di Terra Santa

Carlo Giorgi
11 novembre 2015
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«Sono annegati almeno cento bambini solo nell’ultimo mese, nel tratto di mare che separa Kos e Rodi dalla Turchia! Quella dei profughi è una moltitudine che non si ferma! Il guaio è che non abbiamo mezzi sufficienti per aiutarli». Lancia l’allarme fra Luke Gregory, sacerdote della Custodia di Terra Santa a cui sono affidate le parrocchie latine delle due isole greche.


«Sono annegati almeno cento bambini solo nell’ultimo mese, nel tratto di mare che separa Kos e Rodi dalla Turchia! Quella dei profughi è una moltitudine che non si ferma! E il guaio è che non abbiamo i mezzi per aiutarli, sta iniziando a far freddo e il mare è sempre più agitato…». A lanciare l’allarme è fra Luke Gregory, sacerdote della Custodia di Terra Santa a cui sono affidate le parrocchie cattoliche di rito latino di Rodi e Kos, isole greche del Dodecaneso affacciate alla costa turca. In particolare, Kos dista solo dieci chilometri dalla città di Bodrum ed è diventata, per questo motivo, la «porta» d’ingresso per l’Europa preferita dai profughi che transitano in Turchia. Proprio sulla spiaggia di Bodrum, ai primi di settembre, è stata scattata una foto divenuta tristemente famosa: un bimbo annegato, di al massimo tre anni, con il viso piantato nella sabbia. Quel bimbo stava andando proprio a Kos assieme alla sua famiglia e ad altri disperati.

I profughi giungono sull’isola greca a bordo di gommoni a motore spesso privi di scafista. Chi organizza il traffico affida il timone a uno dei passeggeri, gli indica la rotta e lo fa partire. Sono imbarcazioni capaci di portare al massimo 15 persone, su cui però ne vengono imbarcate almeno 30: bambini e donne al centro, uomini sui bordi. Ognuno paga mille euro per salire. Il gommone parte stracarico, se c’è un’onda un po’ più alta, imbarca acqua facilmente; le persone sono prese dal panico perché molte non sanno nuotare. Accade che il gommone si ribalti, con le conseguenze più tragiche.

«Difficile immaginare quanti siano in Turchia, pronti a imbarcarsi per Kos – racconta fra Luke –, di certo qui ne arrivano in continuazione anche se siamo a novembre. Rimangono al massimo due settimane, il tempo di farsi schedare dalla polizia, ricevere un permesso di soggiorno di sei mesi ed essere portati, a bordo di grandi navi, ad Atene. Il sogno di tutti è raggiungere la Germania».

L’isola di Kos, località turistica rinomata, oggi è irriconoscibile: «Al porto si sente parlare solo arabo – commenta il frate minore – e lungo le mura della città vecchia, vicino al porto, le strade sono un succedersi di centinaia di tende da campeggio che ospitano profughi provenienti prevalentemente dalla Siria, ma anche dall’Afghanistan e dall’Iraq. Quasi tutti sono musulmani. Le tende sono state montate solo da poche settimane, prima dormivano tutti all’addiaccio. Non ha ancora iniziato a piovere: qui quando piove, va avanti per ore senza tregua… La situazione può peggiorare molto soprattutto per i bambini, che patiscono di più. I parrocchiani della chiesa di Kos stanno facendo un’opera meravigliosa per aiutarli. In particolare la comunità degli immigrati filippini, che aiuta la Caritas locale, si sta dando molto da fare per portare cibo e vestiti a tutti».

A Rodi, più lontana dalla coste turche, oggi i rifugiati sono circa 200. Li hanno alloggiati nel vecchio mattatoio italiano, costruito oltre settant’anni fa e da lungo tempo inutilizzato. «È una sistemazione povera – racconta fra Luke –, ma almeno hanno un tetto sulla testa. È difficile aiutarli perché anche i greci, pur facendo del loro meglio, sono essi stessi in difficoltà economiche: in parrocchia abbiamo un ufficio chiamato Food Bank, che ogni martedì consegna un pacco viveri alle famiglie povere. Ieri ne sono venute 34, tutte di greci. Nel pacco trovano riso, fagioli, lenticchie, latte in polvere, il necessario per tre, quattro giorni; il fatto è che, per aiutarli, non possiamo prelevare più di 420 euro a settimana, cerchiamo di dare il massimo aiuto con questi pochi soldi… qualche anno fa abbiamo piantato un orto nel giardino del convento, comprato galline e tacchini per aumentare un po’ il cibo a disposizione. In estate, il sindaco di Rodi ha chiesto a tutti gli alberghi di portare cibo ai profughi, a turno. Da parte mia, chiedevo ai turisti, durante la messa, di portarci cibo, dentifrici, sapone giochi e cioccolata per i bambini, che poi distribuivamo… Ora però i turisti non ci sono più e quasi tutti gli alberghi sono chiusi. Non riapriranno prima di aprile…».

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