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Amman non regge più il peso dei profughi

di Giuseppe Caffulli
28 gennaio 2016
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A sei anni dall’inizio della guerra in Siria, ad Amman ci si interroga su come e fino a quando si potrà reggere l’impatto di una tragedia umanitaria di dimensioni epocali. All’inizio di gennaio le stime di Human Rights Watch parlavano di altri 12 mila profughi siriani stanziati nei pressi del confine con la Giordania, in attesa di potersi congiungere ai 630 mila già presenti. E intanto iniziano i rimpatri forzati...


Dall’inizio di dicembre, per più di un mese, i richiedenti asilo e i rifugiati sudanesi hanno tenuto duro, protestando davanti all’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati (Acnur) ad Amman, capitale della Giordania, accampati in tende colorate e allineate lungo la strada. Lo scopo era chiaro: ottenere più misure di sostegno per una popolazione disperata e in fuga. E che anela solo ad inserirsi in un nuovo Paese.

Alla fine, senza troppe cerimonie, è intervenuta la polizia giordana e 600 cittadini sudanesi sono stati espulsi. «Secondo il diritto internazionale i richiedenti asilo non possono essere rimandati nel Paese dal quale sono fuggiti», spiegano le agenzie umanitarie. Ma gli osservatori internazionali fanno notare come l’episodio rischi di essere il primo di una serie, in un Paese letteralmente messo in ginocchio dalla crisi umanitaria che ha toccato le nazioni vicine, Siria in testa. Una tragedia che ha convogliato verso il regno hashemita oltre 630 mila rifugiati. Il gruppo più consistente di una vera e propria galassia di richiedenti asilo provenienti da oltre 40 Paesi diversi.

A sei anni dall’inizio della guerra in Siria, ad Amman ci si interroga su come e fino a quando si potrà reggere l’impatto di una tragedia umanitaria di dimensioni epocali. All’inizio di gennaio le stime di Human Rights Watch parlavano di altri 12 mila profughi siriani stanziati nei pressi del confine con la Giordania, in attesa di poter essere accolti.

«Per quanto tempo i rifugiati possono continuare a sopravvivere solo contando sull’assistenza di base che stiamo offrendo?», si chiede Aoife McDonnell, portavoce dell’Acnur ad Amman. La maggior parte dei profughi siriani in Giordania non ha un permesso per lavorare legalmente. E l’accesso al lavoro sarà il vero problema da sciogliere negli anni a venire.

Il sostegno che l’Acnur offre oggi ai rifugiati è sempre più risicato. Una minoranza di famiglie, soprattutto donne sole con figli, riceve un assegno mensile di poco più di 400 dollari Usa (circa 365 euro). Altri hanno un sussidio per l’acquisto di beni di prima necessità e buoni pasto.

Ma alla fine, per cercare di sopravvivere, i rifugiati e i richiedenti asilo finiscono per fare lavori illegali, precari e malpagati. Il che non fa che aumentare la tensione sociale dentro il Paese.

Il rimpatrio forzato dei sudanesi non lascia tranquilli neppure i siriani. Tra l’altro, di recente, casi di rimpatrio forzato in Siria (giustificati con ragioni di sicurezza interna) sono stati documentati dalle organizzazioni per i diritti umani.

Il 2016 che si è appena avviato si presenta insomma ancora più fosco, se possibile, per i rifugiati in Giordania: il timore per possibili disordini, la paura per le infiltrazioni da parte del terrorismo internazionale, l’aggravarsi della crisi economica, potrebbero indurre le autorità di Amman ad essere più rigide nella politica dell’accoglienza. Fino a prendere in considerazione con maggior frequenza le espulsioni forzate come extrema ratio di fronte a una pressione crescente di profughi e richiedenti asilo alle proprie frontiere.

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