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Riconfermato l’impegno dei frati della Custodia in Siria

(g.s.)
25 febbraio 2016
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Riconfermato l’impegno dei frati della Custodia in Siria
Un primo piano di fra Dhiya Azziz.

In un'intensa lettera ai confratelli il padre Custode spiega la decisione di restare nonostante la guerra: «Non abbiamo mai abbandonato i luoghi e la popolazione che la Chiesa ci ha affidato».


Il 23 dicembre scorso al convento di San Salvatore a Gerusalemme, sede centrale della Custodia di Terra Santa, giungeva la notizia del probabile rapimento di fra Dhiya Azziz, un frate quarantenne di nazionalità irachena parroco nel villaggio siriano di Yacoubieh (provincia di Idlib, distretto di Jisr al-Chougour). I suoi confratelli avevano perso i contatti con lui la mattina di quello stesso giorno, mentre il religioso stava rientrando in parrocchia dopo essersi recato in Turchia per incontrare i suoi familiari, profughi dall’Iraq. Fra Azziz era già stato vittima di un rapimento nel luglio del 2015, ma in breve era riuscito a sfuggire ai sequestratori. Stavolta è stato trattenuto più a lungo (12 giorni) e la notizia dell’avvenuta liberazione è stata diffusa da Gerusalemme, senza molti dettagli, la mattina del 4 gennaio 2016. Poche settimane più tardi il frate è giunto a Roma per un periodo di riposo lontano dalle tensioni della guerra. La sua vicenda ha riproposto ancora una volta a tutti i suoi confratelli un interrogativo cruciale: è bene ed opportuno restare nelle parrocchie dei villaggi siriani sotto il controllo delle forze islamiste avversarie del governo di Damasco anche se il numero dei cristiani locali continua a scemare perché molti se ne vanno? O è meglio ripiegare in attesa di tempi migliori?

Il Custode di Terra Santa, fra Pierbattista Pizzaballa, ha invitato tutti i frati a pregare e riflettere insieme, per aiutare lui e il suo consiglio a decidere se restare a Knayeh, Yacoubieh e Jdeideh, tre paesini della Valle dell’Oronte.

Molti frati hanno risposto al Custode per iscritto o a voce. Fra Pizzaballa ha voluto ringraziarli coralmente a fine gennaio con un messaggio che recita tra l’altro: «Ho letto con attenzione e meditato su tutte le vostre osservazioni, riflessioni e preoccupazioni. Le vostre opinioni sono state di grande aiuto e hanno reso meno faticosa la decisione da prendere. Di nuovo, grazie! Nella quasi totalità avete espresso con chiarezza il parere che sia doveroso restare nei villaggi, senza considerazione per il numero dei parrocchiani (circa 400 complessivamente nei tre villaggi) e nonostante il pericolo».

«La Custodia – soggiunge il padre Custode – non ha mai abbandonato i luoghi e la popolazione che la Chiesa le ha affidato, anche a rischio di pericolo. Non pochi tra i nostri martiri, anche nel periodo recente, sono morti in circostanze non troppo dissimili dalla situazione attuale. Un pastore non abbandona il suo gregge e non si chiede se le sue pecore valgano molto o poco, se siano numerose o giovani. Per un pastore tutte le pecore sono importanti e le ama tutte allo stesso modo».

A prendere il posto di fra Dhiya a Yacoubieh andrà, da Betlemme, un religioso ancora più giovane, fra Louay Bhsarat, che fin dall’inizio della guerra aveva dato la sua disponibilità ai responsabili della Custodia.

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