Ysra Mardini, 17 anni, siriana, è una promettente nuotatrice che vedremo gareggiare forse alle Olimpiadi di Rio 2016. Tuttavia non lo farà dietro la bandiera della Siria. Il 2 marzo scorso il Comitato olimpico internazionale ha deciso infatti la creazione di una squadra di atleti olimpici «rifugiati» che parteciperà accanto alle 206 delegazioni nazionali.
Ysra Mardini, 17 anni, siriana, è una promettente nuotatrice che vedremo gareggiare forse alle Olimpiadi di Rio 2016. Quando sfilerà alla cerimonia di inaugurazione, tuttavia, non lo farà dietro la bandiera della Siria. Rappresenterà invece una nuova «nazione»: quella dei rifugiati.
Il 2 marzo scorso la Commissione esecutiva del Comitato olimpico internazionale (Coi) ha deciso infatti la creazione di una squadra di atleti olimpici «rifugiati» che parteciperà accanto alle 206 delegazioni nazionali alle prossime olimpiadi. La rappresentanza avrà nome Squadra degli atleti olimpici rifugiati e avrà come bandiera il vessillo olimpico con i cinque cerchi colorati su sfondo bianco. Alla cerimonia di inaugurazione delle olimpiadi le verrà data la massima visibilità, dal momento che sfilerà prima della squadra del Paese ospite, il Brasile.
La decisione di creare una squadra di rifugiati olimpici ha il valore della provocazione e della denuncia. I rifugiati negli ultimi anni sono diventati, per numero, paragonabili a una «nazione» come l’Italia. Nel 2014 in tutto il mondo erano 59,5 milioni, secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur), le persone costrette contro la propria volontà a fuggire lontano da casa. Di queste, oltre 19 milioni si erano dovute rifugiare all’estero. La situazione è oggi particolarmente grave in Medio Oriente. Se guardiamo solo alla Siria, coloro che sono fuggiti all’estero superano i 4 milioni e 800 mila (900 mila sono in Europa, gli altri nei Paesi appena oltre confine). Gli sfollati interni al Paese sono 8 milioni.
Ysra Mardini, la giovane nuotatrice siriana di cui parliamo, è scappata da Damasco assieme alla sua famiglia nell’agosto del 2015 scegliendo la cosiddetta via balcanica: la Associated Press racconta la sua odissea dalla Siria al Libano e dal Libano alla Turchia. Poi il contatto con gli scafisti pagati profumatamente, in modo da arrivare via nave in Grecia. Il primo tentativo di attraversare il Mar Egeo fallisce. La seconda volta invece, dopo trenta minuti di viaggio, la barca inizia a fare acqua. Ysra, sua sorella e altri passeggeri in grado di nuotare si gettano in acqua per alleggerirne il peso. Dopo tre ore di attraversata a nuoto, arrivano miracolosamente all’isola greca di Lesbo. Da qui la faticosa risalita verso nord, fino all’arrivo a Berlino dove un’organizzazione caritativa locale aiuta Ysra e la sorella a tornare ad allenarsi in una piscina della capitale. E dove Ysra viene notata da un allenatore che ne comprende subito il valore atletico.
Oggi il nome di Ysra è nella lista dei 43 atleti di livello olimpico candidati dal Coi a far parte della squadra dei rifugiati. Giovani in fuga dalla loro terra, «scoperti» dai comitati olimpici nazionali dei Paesi in cui hanno trovato accoglienza. I 43 candidati, in questi quattro mesi che li separano dalla Olimpiadi saranno seguiti e allenati, in modo da recuperare la forma fisica che non hanno potuto curare a causa della fuga. Secondo il Coi, è probabile che un numero compreso tra i 5 e i 10 di loro riesca a raggiungere i risultati minimi richiesti dagli standard internazionali. In questo modo, fatto salvo il riconoscimento di rifugiati da parte dell’Onu, potranno partecipare alle olimpiadi.
Non è la prima volta che il Coi si occupa di rifugiati. Da venti anni infatti collabora con l’Acnur per sostenere i giovani atleti ospitati nei campi profughi, in molti paesi del mondo. «Abbiamo deciso di creare questa nuova squadra olimpica per mandare un messaggio di speranza ai rifugiati di tutto il mondo», ha spiegato Thomas Bach, presidente del Comitato olimpico internazionale.