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Violenze e stupri sulle palestinesi nelle carceri israeliane, la denuncia dell’Onu

Manuela Borraccino
9 aprile 2025
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Stupri e varie forme di abusi sessuali contro donne e ragazze arrestate a Gaza e in Cisgiordania: li documenta una commissione indipendente in un rapporto presentato al Consiglio per i diritti umani dell’Onu.


Le voci erano trapelate già nei primi mesi dall’inizio di quest’ultima guerra di Israele a Gaza, ma neppure le agenzie umanitarie osavano confermarle. Ora un rapporto di 49 pagine di una commissione d’inchiesta internazionale indipendente documenta al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite «l’uso sistematico negli ultimi 18 mesi di violenze sessuali e di genere da parte delle Forze di sicurezza israeliane contro donne e ragazze palestinesi arrestate» a Gaza e in Cisgiordania. E rileva che non si tratta di casi isolati ma – come già avvenuto in altri conflitti – per l’estensione del fenomeno indica l’utilizzo della violenza sulle donne come arma di guerra e di annientamento dell’altro.

Il rapporto dal titolo «Più di quello che un essere umano può sopportare»: l’uso sistematico da parte di Israele di violenza sessuale, riproduttiva e altre forme di violenza di genere dopo il 7 ottobre 2023 esplora non solo «la distruzione diffusa di Gaza da parte di Israele e lo sproporzionato uso della violenza contro donne a bambini risultante dai metodi di guerra israeliani, inclusi la distruzione mirata di edifici residenziali e il bombardamento indiscriminato di quartieri densamente popolati». È «incommensurabile» il numero di donne uccise da complicazioni legate al parto o alle gravidanze dopo «gli attacchi deliberati da parte delle Forze di sicurezza israeliane contro le strutture sanitarie di salute riproduttiva e ginecologiche della Striscia di Gaza»: «la distruzione sistematica degli ospedali avrà un impatto a lungo termine sui tassi di fertilità nella Striscia». Ampio spazio viene dedicato «al drammatico aumento di violenze sessuali e di genere perpetrate dalle Forze di sicurezza israeliane e dai coloni nei Territori occupati (di Cisgiordania – ndr), inclusi stupri e altre forme di violenze sessuali». In Rete circolano video delle violenze contro uomini e donne postati dai soldati israeliani come vendetta per gli stupri commessi dai miliziani di Hamas nell’attacco del 7 ottobre 2023.

Il rapporto documenta come i resoconti ripetuti in questo anno e mezzo su tutti i media israeliani sugli stupri avvenuti nel “sabato nero” nei 22 kibbutz attaccati dai terroristi palestinesi abbiano contribuito «all’utilizzo della violenza sessuale come arma di guerra, esito della miscela esplosiva di machismo, nazionalismo, ripristino dell’onore perduto, vendicandosi con la violenza sulle donne»: lo si legge persino in graffiti in ebraico di incitamento a violentare le palestinesi lasciato da soldati del battaglione 9208 sui muri sbriciolati a Beit Hanoun, nel nord della Striscia.

Numerosissimi i video e foto postati sugli account Instagram, successivamente chiusi o rimossi, di soldati israeliani che costringono uomini e donne palestinesi a denudarsi durante le incursioni nelle case in Cisgiordania, in cui condividono in Rete per dileggio o per insulto informazioni private delle persone prese di mira, o soldati che si fanno fotografare in posa con la biancheria intima delle ragazze. La commissione d’inchiesta nota che i video e le foto «mostrano chiari pregiudizi razziali e di genere espressi da chi ha perpetrato questi gesti, che intenzionalmente mettono nel mirino donne e ragazze palestinesi per umiliarle e degradarle pubblicamente», ben sapendo che nella cultura palestinese le conseguenze possono essere «estremamente dannose» per la loro reputazione.

Moltissimi i casi di violenze sessuali documentati dalla Commissione nelle centri di detenzione maschili di Neghev e di Sde Teiman: le violenze hanno riguardato anche il dottor Adnan al Bursh, primario di ortopedia nell’ospedale di Al-Shifa arrestato nel dicembre 2023 dall’esercito israeliano nell’ospedale al-Awda a Gaza e morto quattro mesi dopo nella prigione di Ofer per le torture subite. Israele, rimarca la Commissione, non ha consentito un’autopsia forense sulla salma del medico e non ha mai restituito il corpo ai familiari.

Altre violenze sessuali, per punizione o per intimidazione, sono state commesse contro detenute nelle carceri femminili di Damon e Hasharon.

Nei mesi scorsi già la rivista bi-nazionale Palestine Israel Journal, co-diretta da accademici israeliani e palestinesi, aveva denunciato il drammatico aumento di violenze sessuali ai danni delle palestinesi da parte di militari israeliani. Per Kifaya Khraim, avvocata del Centro di aiuto legale e consulenza per le donne (Women’s Centre for Legal Aid and Counselling, Wclac) con sede a Ramallah, il numero crescente di denunce e le testimonianze che ha raccolto dopo il 7 ottobre 2023 di decine di donne detenute nei penitenziari israeliane non lasciano adito a dubbi: «Le donne vengono arrestate senza accuse e trattenute in detenzione amministrativa. Riferiscono di venire perquisite, costrette a denudarsi, colpite ripetutamente sugli organi genitali, fotografate nude, minacciate di stupro. Talvolta vengono violentate. Questi abusi avvengono nei penitenziari o ai posti di blocco come condizione per ottenere il permesso di spostarsi da un luogo a un altro oppure, sempre più spesso, quando i soldati fanno irruzione nella notte nelle loro abitazioni».

Secondo Khraim e gli altri operatori del centro «il copione di come questi abusi avvengono è talmente uniforme in diversi distretti del paese e nelle diverse truppe dell’esercito israeliano» da far ritenere «che esistano delle precise direttive su come trattare le palestinesi». Anche perché chi perpetra questi crimini sembra conoscere e sfruttare lo stigma che impedisce a molte delle vittime di denunciare quanto accaduto. «Abbiamo ascoltato più di 30 detenute e tutte hanno detto la stessa cosa: sono state torturate, private del cibo, degli assorbenti igienici… Sono state aggredite e picchiate di fronte alle altre per umiliarle ancora di più».

Fonti Onu ricordano che fino al 30 novembre 2024, per oltre 13 mesi, la rappresentante speciale delle Nazioni Unite per le violenze di genere nei conflitti Pramila Patten ha chiesto, invano e più volte, a Israele di avere accesso alla documentazione sugli attacchi del 7 ottobre 2023, in modo da poter raccogliere la documentazione sulle violenze commesse da Hamas contro i cittadini israeliani già denunciati dall’Onu «con prove evidenti», mentre contemporaneamente chiedeva di avere accesso alle carceri israeliane per poter verificare eventuali abusi contro i palestinesi. Secondo il quotidiano Haaretz il diniego di Israele alla collaborazione si deve all’intento di impedire che dalle indagini possano emergere elementi che portino lo Stato ebraico sul banco degli imputati per violenze sessuali perpetrate nelle carceri.

Ad oggi le statistiche palestinesi registra 50.669 vittime a Gaza, delle quali oltre 40mila sono donne e minori: una strage di innocenti del tutto sproporzionata rispetto a qualsiasi altro conflitto negli ultimi decenni anche perché, rimarca l’Onu con un’analisi dei dati disaggregati sugli uomini uccisi, una minoranza di queste vittime sono effettivamente miliziani di Hamas a causa dei quali l’attacco a Gaza è stato sferrato. Il caso di Nahida and Samar Anton, madre e figlia uccise nella parrocchia della Natività di Gaza il 16 dicembre 2023 senza che l’esercito israeliano abbia fornito spiegazioni sul perché siano state prese di mira da un cecchino, è solo uno degli innumerevoli episodi citati dal rapporto su come questa sia «una guerra contro le donne» prese di mira dalle forze di sicurezza israeliane.

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