Nel secolo scorso hashish e oppio venivano coltivati, per essere poi spacciati, nella valle della Beqaa, travalicando i confini tra Libano e Siria. Ad arricchirsi erano in molti. Tutto è cambiato con il captagon, la droga sintetica relativamente facile da produrre e trafficare. La sporca ricchezza che genera si concentra nelle mani di pochi.
Nel disastro incrociato di Siria e Libano si intersecano anche le rotte di una forma particolarmente perversa di distorsione criminale ed economica: il traffico di droga. Fin dall’indipendenza del Libano, dichiarata nel 1943 e riconosciuta nel 1945, il confine con la Siria, soprattutto all’altezza della parte Nord della valle della Beqaa, è stato teatro di un intenso commercio di hashish e oppio, diventato abbastanza presto una preoccupazione internazionale.
Le autorità libanesi, fino alla guerra civile degli anni Settanta, ma anche dopo, hanno recitato due parti in commedia. Da un lato cercando di dare soddisfazione agli osservatori esteri, con una certa azione repressiva e con distruzioni dei raccolti orchestrate in modo spettacolare ma di poco imbarazzo per i signori della droga. Dall’altro lasciando correre, «autorizzando», certe forme di commercio quasi come un indennizzo per un’area del Paese poco curata e ancor meno sviluppata dal governo centrale.
Produttori e trafficanti venivano tutti dai clan della Beqaa, spesso radicati anche nella normale produzione agricola. Non di rado questi clan trovavano modo di mandare in Parlamento qualche loro affiliato, senza però sviluppare una vera capacità di influenzare il sistema politico. Questo anche perché, per l’hashish come per l’oppio, produttori, trafficanti e distributori erano quasi sempre soggetti diversi, anche se legati alle fedeltà claniche, cosa che comportava anche una frammentazione distributiva dei profitti.
Il quadro è cambiato radicalmente nell’ultimo decennio, dell’inizio della guerra civile in Siria. Sul mercato ha fatto irruzione il captagon, un’anfetamina molto diffusa in Medio Oriente (soprattutto nei Paesi del Golfo Persico), detta anche «la droga del kamikaze» per il senso di eccitazione e invincibilità che trasmette. Pare che l’avessero assunta gli attentatori di Parigi del 2015, così come i terroristi di Hamas prima delle stragi del 7 ottobre 2023. I nuovi trafficanti non sono radicati nei vecchi clan e le loro affiliazioni, dovute esclusivamente alla sete di denaro, travalicano le appartenenze etniche o religiose.
Questi figuri hanno sfruttato, per così dire, le circostanze della storia. Il disastro siriano ha trasformato il regime di Bashar al-Assad nel più importante trafficante mondiale di captagon. Le sanzioni inflitte alla Siria, che hanno impoverito drammaticamente la popolazione, e quelle altrettanto imposte a personaggi e istituzioni libanesi, hanno procurato occasioni e manodopera. La crisi profondissima del Libano, con il collasso finanziario del 2019 che ha minato il sistema bancario e ha aperto una fase di «economia del contante» che non si è ancora chiusa, ha fatto il resto. Così le vecchie strade dell’hashish sono diventate le strade dell’ancor più pericoloso captagon. Che per di più, essendo una droga chimica, concentra in poche mani tutte le fasi del traffico, dalla produzione allo spaccio, e quindi assicura alle stesse poche mani tutti i guadagni, facendo così crescere una nuova classe criminale che questa volta è assolutamente in grado di condizionare anche il potere politico. Fattore tutt’altro che trascurabile in due Paesi dove, anche se per ragioni diverse, le istituzioni hanno vita incerta e comunque fanno molta fatica ad affermarsi e ad agire sulla totalità del territorio.