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Il parroco di Latakia: «Ci sono alawiti disposti a convertirsi pur di fuggire»

Terrasanta.net
9 aprile 2025
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Il parroco di Latakia: «Ci sono alawiti disposti a convertirsi pur di fuggire»
7 marzo 2025: soldati siriani diretti verso Latakia per contrastare i combattenti alawiti fedeli al vecchio regime rovesciato in dicembre. (foto Asaad Syria/Flash90)

A quattro mesi dalla fine del regime di Bashar al-Assad e a un mese dal tentativo di insurrezione alawita, i centri sulla costa della Siria vivono nella paura per la ripresa della guerra civile che ha fatto altre migliaia di morti. Il racconto di fra Sadi Azar, parroco francescano di Latakia.


Nessuno si aspettava che la Siria fosse entrata d’incanto in un tempo di pace e democrazia, con la fine del regime di Assad e l’insediamento a Damasco della nuova dirigenza di matrice islamista (sunnita). Ma quella che ha vissuto nelle ultime settimane la popolazione delle regioni costiere del Paese è stata una fase sanguinosa della guerra civile iniziata nel 2011.

«I cadaveri erano tanti, per le strade, o uccisi nelle case, bruciati vivi. Altri sono stati ammazzati nei boschi mentre venivano inseguiti. La gente da un mese vive nella paura. Continuano i rapimenti. le sparizioni di persone, di cui le famiglie non sanno più niente». A raccontarci della situazione, dopo la ripresa delle violenze all’inizio di marzo, è fra Fadi Azar, parroco francescano a Latakia e frate minore della Custodia di Terra Santa. «Tanti parrocchiani vogliono andare via. Invece di chiederci un aiuto attraverso la distribuzione dei pacchi alimentari o di medicine, o per pagare l’affitto, ci domandano di parlare con le autorità estere o con realtà come la Comunità di Sant’Egidio, perché li aiutino a ottenere il visto e scappare. Perfino alcuni alawiti si sono presentati dicendo di essere disposti a diventare cristiani pur di essere aiutati a lasciare la Siria. Questo dice molto della paura che si vive».

Fra Fadi Azar, parroco francescano a Latakia (Siria)

Fra Fadi è di origine giordana, da cinque anni, insieme al confratello fra Graziano Buonadonna, ha la cura dei cattolici nella città costiera, che è la quarta più grande del Paese. Latakia è il centro principale della zona dove storicamente si concentra la minoranza alawita e da dove ha origine la famiglia Assad che ha dominato la Siria con Hafiz al-Assad (1970-2000) e suo figlio Bashar (2000-2024). Gli alawiti sono un gruppo religioso lontanamente associato al mondo sciita, ma in realtà legati a un’interpretazione esoterica del Corano con influenze gnostiche e neoplatoniche. Sono considerati eretici dalla maggior parte dei sunniti, e hanno conservato la propria identità di minoranza per il proprio insediamento tradizionale sui monti che separano il Mediterraneo e le grandi città dell’entroterra. Gli alawiti sono tali per nascita, perché non fanno proseliti né convertono. Prima della guerra civile erano circa il 13 per cento della popolazione siriana. Il fatto che la famiglia Assad appartenga a questa minoranza ha portato gli alawiti a identificarsi fortemente con l’ex regime.

Fra Fadi, come era la situazione prima di questa ondata di violenze?

Nella città di Jableh, il 6 marzo, c’è stata un’insurrezione di alcuni militari fedeli all’ex dittatore. Per cinque giorni di seguito c’è stata una persecuzione violenta contro gli alawiti, ma questa era già iniziata con la presa del potere in Siria delle formazioni militari islamiche sunnite che hanno rovesciato il regime di Assad l’8 dicembre 2024. I primi bersagli sono stati gli alawiti che lavoravano negli uffici pubblici. Ad esempio, imponevano alle donne impiegate l’obbligo di indossare il velo. Molti sono stati licenziati.
Un mese fa un gruppo di soldati alawiti legati al vecchio regime hanno tentato una specie di putsch per riprendere il controllo, a Jableh (30 chilometri a sud di Latakia – ndr) e a Qardaha, nell’entroterra, che è il luogo natale di Hafiz al Assad.

Dopo che cosa è successo?

C’è stata una imboscata compiuta dai soldati dell’ex regime contro la polizia dell’attuale governo. Hanno ammazzato una quindicina di agenti. La polizia governativa ha arrestato sette soldati. A quel punto i militari ribelli hanno cercato di riconquistare la città di Jableh e in particolare l’accademia navale, dove ci sono 600 allievi, tutti sunniti che lì fanno addestramento. Quando i militari hanno circondato l’accademia, gli allievi hanno contattato le famiglie in tutta la Siria, dicendo che gli alawiti stavano per ucciderli. La risposta per liberarli è stata rapida, anche per il timore che gli alawiti arrivassero a prendere il controllo di Latakia. Sono iniziati gli attacchi contro i centri alawiti e i soldati ribelli hanno cercato rifugio nel vicino aeroporto di Hmeimim (dove si trova una base aeronautica russa – ndr).

Anche diversi cristiani sono stati uccisi…

Per rappresaglia, sono stati uccisi gli abitanti di interi villaggi e quartieri della città di Latakia. A Baniyas hanno attaccato anche dei cristiani, rubato le loro auto, hanno fatto furti nelle case, ma non li hanno uccisi. In altre circostanze ci sono state uccisioni, anche di cristiani: Fadi e Antoine Butros, padre e figlio, che si trovavano a Qardaha, anche se non erano originari di lì, sono stati ammazzati. E, poi un ragazzo di 27 anni, Tony Khoury, e il padre di uno studente di Baniyas, sceso sotto casa perché gli stavano rubando l’auto: ucciso. E, ancora, il padre di un sacerdote ortodosso, padre Gregorio. Un altro giovane cristiano è stato catturato a un check-point perché era arruolato nell’esercito dell’ex regime ed è scomparso…

Quante sono state le vittime in tutto?

Secondo l’Osservatorio siriano per i Diritti umani, le persone uccise sono state almeno 2.000 o 2.500, tra civili, militari ribelli e milizie governative. Ma altri cadaveri vengono ancora ritrovati.

Come si è vissuto a Latakia?

La città ha vissuto settimane di paura. Per sei giorni sono mancate l’acqua e l’elettricità. La gente teme i gruppi armati di jihadisti, molti dei quali sono stranieri, combattenti che arrivano dalla zona di Idlib (da dove lo scorso novembre sono partiti rovesciando in pochi giorni il regime – ndr). Sono controllati dai servizi segreti turchi. Non c’è un vero controllo del nuovo governo di Damasco.
Il porto della città adesso è tornato a funzionare, fortunatamente, ma conosco tanti parrocchiani in difficoltà perché non c’è lavoro. La vita economica è paralizzata. Tanti sono stati licenziati, soprattutto quelli che il nuovo governo ha considerato impiegati pubblici in sovrannumero.

E oggi?

La situazione si è fatta un po’ meno tesa dopo Eid, alla fine del Ramadan. Molti fino ad allora non uscivano per strada e per paura tanti studenti non sono andati a scuola per settimane. Come parrocchia abbiamo ospitato due famiglie fuggite e abbiamo continuato con la distribuzione di pacchi alimentari, portando aiuti anche fuori città, a Baniyas e Jableh. Le atrocità commesse contro gli alawiti sono state spaventose. Le umiliazioni e le uccisioni hanno messo paura in tutta la gente, per questo così tante persone vogliono andarsene.

A loro che messaggio trasmetti?

Di avere pazienza e di evitare di intraprendere percorsi rischiosi, come chi vorrebbe andare in Libano o in Turchia e da lì imbarcarsi per raggiungere la Grecia. La frontiera con la Turchia resta chiusa per i siriani e legalmente passa solo per chi ha preso la cittadinanza turca o ha un permesso di residenza in Turchia. (f.p.)


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