Come si temeva ormai dai primi di marzo – anche in considerazione della postura della Casa Bianca di Donald Trump – è naufragata la tregua nella Striscia di Gaza, dove sono ripresi nella notte scorsa, a cavallo tra il 17 e il 18 marzo, pesanti bombardamenti israeliani.
Gli accordi tra Hamas e Israele, raggiunti negli ultimi giorni dell’amministrazione Biden – dopo lunghe mediazioni di Egitto, Qatar e Stati Uniti – prevedevano una prima fase della durata di 42 giorni (conclusasi a inizio marzo) durante la quale sarebbero state liberate alcune decine di ostaggi trascinati nella Striscia dalle località nel sud di Israele attaccate da Hamas e altre milizie palestinesi il 7 ottobre 2023 a fronte della scarcerazione di centinaia di detenuti palestinesi nelle prigioni israeliane. Sostanzialmente quella fase è stata portata a termine, sia pure con alti e bassi e non poche tensioni.
Si sarebbe dovuto passare alla seconda fase, per giungere alla cessazione definitiva delle ostilità, al rilascio degli altri ostaggi ancora trattenuti nella Striscia e al completo ritiro delle truppe israeliane. Il governo Netanyahu ha chiesto invece di prolungare la fase uno col rilascio di altri ostaggi. Per fare pressione su Hamas nei giorni scorsi ha interrotto il flusso di aiuti e di materiali (come tende e prefabbricati per i gazesi rimasti senza casa) e persino l’erogazione dell’energia elettrica.
Washington ha avviato colloqui diretti con Hamas prospettando conseguenze infernali – per dirla alla Trump – in caso di resistenza alla resa. Ora Netanyahu è passato all’azione. E i nuovi morti si contano già a centinaia. (g.s.)