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Prime crepe nell’accordo tra curdi e governo in Siria

Elisa Pinna
17 marzo 2025
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Ha fatto notizia giorni fa la firma dell'accordo tra le forze curde che controllano il Nord-Est della Siria e il governo di Damasco. L'entrata in vigore, il 13 marzo, della dichiarazione costituzionale transitoria ha però raffreddato gli animi.


Sono passati appena sette giorni e già comincia a mostrare le prime crepe l’accordo tra i curdi del Rojava e il nuovo presidente siriano ad interim, Mohammed al Sharaa, firmato lo scorso 10 marzo per avviare – di qui al prossimo dicembre – una progressiva integrazione della regione autonoma curda del Nord-Est nelle istituzioni e nell’esercito nazionali della Siria.

Il 13 marzo, tre giorni dopo aver promesso ai curdi una politica inclusiva, al Shaara ha promulgato una «dichiarazione costituzionale» (questa la definizione formale del testo legislativo a carattere transitorio) che attribuisce a lui e ai suoi uomini ampissimi poteri per i prossimi cinque anni, in nome di uno Stato definito nel testo «islamico» e «arabo». Due termini che in Siria, un Paese multietnico e multireligioso, rappresentano le bandiere ideologiche sotto cui si sono posizionati i gruppi jihadisti sunniti più radicali, nella guerra ultradecennale che ha devastato il Paese in un intreccio di rancori settari interni e interessi contrapposti di potenze regionali.

I curdi del Rojava, che controllano un terzo del territorio siriano e che arabi non sono, hanno immediatamente affermato che la dichiarazione costituzionale «non rappresenta le aspirazioni del nostro popolo» e «mina gli sforzi per costruire una autentica democrazia». Inoltre, l’identità islamica della nuova Siria non solo è foriera di pericoli e minacce per le minoranze cristiane, ma anche per la comunità alawita-sciita del Paese, considerata dai fondamentalisti sunniti come un gruppo religioso eretico e di fatto non musulmano. Ciò spiega in parte la ferocia dei massacri di civili alawiti compiuti nei giorni scorsi dalle forze di al Shaara in rappresaglia ad attacchi subiti dai sostenitori dell’ex presidente Bashar al Assad.

È bene ricordare, ancora una volta, che l’attuale presidente siriano, Mohammed al Sharaa, era conosciuto fino a meno di quattro mesi fa con il suo nome di battaglia di Abu Mohammed Al Jolani, alla testa della milizia islamista Hayat Tahrir al Shams (Hts), ultima metamorfosi di al Qaida. Prima della conquista di Damasco, l’8 dicembre 2024, il gruppo Hts si trovava nella lista delle organizzazioni considerate terroriste dai governi occidentali ed era il nemico giurato della regione curda del Nord Est della Siria, autonoma di fatto dal 2012, un bastione di laicità, il cui esercito – le Forze democratiche siriane, alleato degli Stati Uniti – ha svolto un ruolo di primo piano nella guerra contro il gruppo Stato islamico (Isis).

Conquistato il potere a Damasco, Al Jolani e i suoi uomini (appoggiati dalla Turchia) sono stati rapidamente legittimati dagli Stati Uniti e dall’Europa, interessati soprattutto a sfilare la Siria dall’influenza russo-iraniana. Gli Stati Uniti, ancora presenti con una propria base militare in Siria, hanno esercitato tutto il loro potere sugli alleati curdi perché accettassero un negoziato e un accordo con il nuovo padrone di Damasco. Ne parla, in un’intervista ad Al Majalla, autorevole rivista araba con sede a Londra, Mazloum Abdi, il capo delle Forze democratiche siriane, l’uomo che ha firmato, insieme al presidente siriano al Sharaa, l’accordo del 10 marzo per avviare il processo di disarmo ed assimilazione del Rojava nelle strutture istituzionali e militari nazionali. Gli Stati Uniti hanno «attivamente mediato e spinto le due parti a sedersi al tavolo e a negoziare», riferisce Abdi, aggiungendo che Washington ha consigliato di non concentrarsi troppo sui dettagli, altrimenti il dialogo sarebbe subito deragliato.

Tuttavia, i dettagli, da quello che si capisce dalle parole di Abdi, saranno determinanti e per ora le parti si trovano solo all’inizio di un processo tutto da definire. Come avverrà l’integrazione delle Forze curde nell’esercito nazionale? A livello individuale o di battaglione? Che grado di autonomia sarà concessa alla regione curda? Chi si avvantaggerà delle considerevoli risorse energetiche del Rojava? «Il nostro livello di impegno nel processo di integrazione è legato alla nostra quota di partecipazione», avverte Abdi, riferendosi alla gestione del potere militare, economico, amministrativo.

Da questo punto di vista, la dichiarazione costituzionale transitoria di Al Sharaa non è incoraggiante. Sebbene infiocchettata da parole come «giustizia», «rispetto per i diritti delle donne», «libertà di opinione e di stampa», il testo consegna al presidente il potere esecutivo, il diritto di proclamare lo stato di emergenza, la nomina di un terzo dell’assemblea popolare legislativa, senza indicare come saranno prescelti gli altri due terzi visto che le elezioni non si terranno presumibilmente prima di cinque anni, né specificare chi (e su quali criteri) dovrà costituire sia la «commissione giuridica transitoria» incaricata di fare luce sui crimini della guerra siriana, di compensare le vittime e di punire i colpevoli, sia il comitato che dovrà redigere la costituzione permanente.

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