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«Per noi siriane parità di genere ora! Il tempo stringe»

Manuela Borraccino
28 marzo 2025
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Per la docente siriana-canadese Hind Kabawat nella Conferenza nazionale un’occasione irripetibile per forgiare una Siria basata sulla parità di genere dove le donne contribuiscano pienamente al progresso democratico ed economico.


Mentre la Siria post-Assad prende forma tra rigurgiti di violenza, le siriane intravvedono una finestra di opportunità per la parità di genere. «Ma il tempo stringe: chi ha in mano le redini per forgiare il futuro della Siria deve cogliere al volo quest’occasione, mentre il paese sta emergendo dal conflitto» scrive in un lungo articolo del centro studi Atlantic Council Hind Aboud Kabawat, studiosa siriano-canadese cristiana nominata tra i sette membri (cinque uomini e due donne, l’altra è Houda Attasi) del Comitato che ha convocato i membri della Conferenza nazionale per l’avvio del processo costituente in Siria. L’assemblea si è riunita la prima volta lo scorso 25 febbraio a Damasco con 4.000 invitati, tra i quali 600 rappresentanti locali, alla presenza dell’autoproclamato presidente ad interim Ahmad al Sharaa, già leader del gruppo jihadista Hayat Tharir Al Sham.

Kabawat discende da una famiglia greco-ortodossa di primo piano. Ha fondato e dirige il Centro siriano per il dialogo, la pace e la riconciliazione, con sede a Toronto. Ha svolto consulenze per la Banca mondiale ed è membro dell’Alto Comitato per i colloqui di pace di Ginevra per la Siria. «Prima della rivoluzione del 2011 – scrive la studiosa – qualsiasi cornice legale sui diritti e prerogative delle donne era meramente simbolica e non si traduceva in alcun significativo rafforzamento sociale o politico. Queste leggi e politiche erano solo di facciata, per offrire l’apparenza di progresso mentre gli effettivi ruoli e opportunità per le donne era limitati nei fatti. Il presidente Bashar al-Assad era a capo di un regime che escludeva e discriminava le donne». I precedenti di altri Paesi usciti da conflitti e guerre civili, ricorda la studiosa, mostra che il varco di democratizzazione e di affermazione dei diritti umani potrebbe richiudersi in fretta e a maggior ragione in un Paese dove «i diritti delle donne sono stati trascurati per decenni» rimarca Kabawat.

Insieme all’architetta Houda Attasi, fondatrice di diverse associazioni umanitarie e presidente della Federazione delle organizzazioni siriane della Società civile, Kabawat ha lavorato in numerosi progetti per far avanzare le donne in ruoli di leadership soprattutto nelle iniziative per l’istruzione e la formazione professionale. Le due manager hanno cercato di invitare alla Conferenza il maggior numero possibile di professioniste siriane fra giudici, avvocatesse, politiche, artiste (come scrittrici e attrici), attiviste per i diritti umani e nelle organizzazioni umanitarie, rappresentanti delle donne presenti nei campi profughi, madri e mogli di detenuti. Nonostante i loro sforzi di assicurare almeno il 30 per cento di donne nelle varie categorie come quota minima, la partecipazione si è fermata poco sotto il 25 per cento «anche perché varie comunità religiose e tribù hanno pochissime, se non nessuna, rappresentante femminile tra i loro leader».

Tra le 200 donne rappresentanti territoriali figurava anche Muhsina al-Mahithawi, da gennaio governatrice della provincia di Suwayda, prima donna nella storia siriana a guidare un’amministrazione regionale e la terza nominata in ruoli apicali da Ahmed al-Sharaa. Economista, 55 anni, l’amministratrice fa parte della comunità dei drusi che sono circa 700mila in Siria, il 3 per cento della popolazione. Dopo la laurea in Economia e commercio conseguita all’Università di Damasco, ha ricoperto numerosi incarichi come revisore dei conti e nell’applicazione delle misure sulla trasparenza amministrativa. Ha diretto una banca specializzata nel settore immobiliare ed è stata a capo dell’Authority per il controllo delle spese statali nella stessa provincia.  Nel marzo 2023, in polemica contro la corruzione endemica, si era dimessa dalla direzione del dipartimento del Tesoro nella stessa provincia. La sua recente nomina a governatrice è stata vista come un ulteriore passo verso il riconoscimento del ruolo che le donne possono svolgere nella vita pubblica e nella ricostruzione del Paese. Al-Mahithawi peraltro si era guadagnata il rispetto dei suoi concittadini per aver partecipato fin dal 2011 alle proteste non violente contro il regime di Bashar al-Assad nella città di Suwayda. Aveva aderito alle richieste per le riforme e i diritti civili, faceva parte dei movimenti politici locali e all’epoca, per questa ragione, aveva subito abusi dalle autorità.

La nomina di Al-Mahithawi (come quelle della governatrice della Banca centrale siriana Maysaa Sabreen e della ministra per le Questioni femminili Aisha al-Dibs) rassicura anche i partner occidentali rispetto al corso post-Assad in Siria. Resta da vedere se tutti questi gesti hanno un mero valore simbolico oppure se rappresentano sforzi autentici per un cambio di passo sulla partecipazione delle donne alla ricostruzione.

→ Leggi anche: Aisha, Maysaa e le altre donne della “nuova Siria”

Secondo le agenzie delle Nazioni Unite, circa il 90 per cento dei siriani vive sotto la soglia di povertà e le donne sono le prime a pagare il prezzo del collasso economico nel quale Bashar al-Assad ha fatto precipitare la Siria. L’impatto di genere del conflitto è evidente nella miseria delle centinaia di migliaia di vedove e mogli di uomini uccisi, scomparsi o resi invalidi dalle torture nelle carceri: donne che non sanno come sfamare i loro figli, mandarli a scuola, avere accesso alle cure sanitarie. Ecco perché, chiosa Kabawat, la Conferenza per il dialogo è solo l’inizio di un cammino tutto in salita nel quale anche le donne devono esser messe in condizione di indicare la strada.

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