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L’arresto del sindaco di Istanbul scuote la Turchia

Giuseppe Caffulli
23 marzo 2025
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L’arresto del sindaco di Istanbul scuote la Turchia
Il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu davanti ai media in un evento pubblico dell'agosto 2024. (foto Shutterstock.com)

Secondo molti turchi l'arresto del popolare sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, mira a impedirgli di sfidare il presidente Erdoğan alle presidenziali del 2028. Intanto il capo dello Stato allarga la sfera di influenza turca in Medio Oriente, a scapito dell'Iran.


Ricordate le proteste di Gezi Park, iniziate nel 2013 a Istanbul come rivolta contro la demolizione di un’area verde nel centro della città, per fare spazio a un centro commerciale e trasformatesi rapidamente in un movimento contro il governo di Recep Tayyip Erdoğan?

Probabilmente è da allora che non si vedevano le piazze turche così straripanti di folla. Ora sono tornate a riempirsi di manifestanti in seguito all’arresto di Ekrem Imamoglu, sindaco di Istanbul e figura di spicco dell’opposizione. Il suo arresto – sopraggiunto, il 19 marzo scorso, proprio mentre si avvicinano le primarie del suo partito, nelle quali è atteso come il principale candidato alla presidenza – ha scatenato una serie di proteste in diverse città. Le autorità turche accusano Imamoglu di corruzione e di legami con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), considerato un’organizzazione terroristica dallo Stato turco.

Un arresto sospetto

L’arresto dell’uomo politico si inserisce in un contesto di crescente repressione nei confronti di chiunque si opponga al governo del presidente Erdoğan. Negli ultimi mesi sono stati presi di mira numerosi esponenti dell’opposizione, attivisti e giornalisti, alimentando le preoccupazioni per una crescente deriva autoritaria. Molti sui social media hanno sollevato il timore che le future elezioni presidenziali – in realtà ancora lontane, essendo previste nel 2028 – possano non essere libere e democratiche. Il Partito popolare repubblicano (Chp), laico e progressista, ha condannato l’arresto di Imamoglu – suo iscritto –, definendolo un «colpo di Stato» e accusando Erdoğan di voler eliminare per via giudiziaria i rivali politici.

Le autorità turche hanno ovviamente respinto le accuse di aver agito per motivazioni politiche. Le circostanze, tuttavia, sembrano suggerire il contrario: l’arresto è arrivato appena un giorno dopo che l’Università di Istanbul ha revocato la laurea di Imamoglu, per presunte irregolarità. Poiché la Costituzione turca richiede che il presidente abbia completato gli studi universitari è logico pensare a una mossa mirata a impedire la candidatura. L’arresto di Imamoglu ha avuto anche immediate ripercussioni economiche: la lira turca ha registrato un crollo storico rispetto al dollaro, alimentando ulteriori preoccupazioni tra gli investitori. Sul piano internazionale, la reazione è stata di condanna. Francia e Germania in hanno espresso preoccupazione per le conseguenze politiche e diplomatiche dell’arresto, sottolineando che questo potrebbe compromettere i tentativi di rafforzare le relazioni tra la Turchia e l’Unione europea, soprattutto in materia di difesa e sicurezza. La Turchia, nonostante tutto, resta un partner strategico per l’Europa, grazie al ruolo nella Nato e alla sua posizione geopolitica.

Potenza regionale?

L’ulteriore deriva autoritaria e antidemocratica della Turchia si inscrive in un contesto regionale ulteriormente complicato dalla crescente rivalità con l’Iran, dopo decenni in cui il rapporto tra i due Paesi è stato gestito con una strategia di attento bilanciamento. Un confronto oggi particolarmente teso con implicazioni non da poco per l’intero quadro geopolitico del Medio Oriente. Le recenti trasformazioni della regione, a partire dalla caduta del regime di Bashar al-Assad nel dicembre 2024 e l’indebolimento di Hezbollah in Libano, hanno riacceso il conflitto per conquistare spazi d’influenza regionale (politica, militare ed economica), specialmente in Siria e Iraq.

Ankara si sta impegnando in una serie di alleanze economiche e politiche, in particolare in Iraq. In questo Paese è impegnata nell’ambizioso progetto indicato come Corridoio dello sviluppo. Si tratta di un piano infrastrutturale che ha l’obiettivo di collegare il porto di Mersin, sulla costa mediterranea della Turchia, con la città di Bassora, nel sud dell’Iraq, tramite un’importante rete di autostrade e ferrovie. Chiaramente il progetto amplificherebbe influenza economica e politica della Turchia nell’area del Medio Oriente, favorendo i collegamenti tra la regione e i mercati globali. A discapito, in primis, dell’Iran.

Antagonisti di Teheran

La Siria, tuttavia, rimane il principale terreno di scontro. Le manovre iraniane nel sostenere i curdi siriani o nel complicare la formazione di un nuovo governo filoturco (non dimentichiamo che la nuova Siria di al-Jolani ha visto la luce nel «protettorato turco» di Idlib) potrebbero determinare il futuro di questo conflitto. Per Ankara, qualsiasi turbolenza in Siria non solo minaccia i piani di stabilizzazione regionale, ma potrebbe anche rivelarsi un ostacolo con gli Stati Uniti, i cui interessi in Siria (con il sostegno ai curdi della regione Rojava) si scontrano spesso con quelli della Turchia.

La rivalità tra Turchia e Iran non si limita però al Medio Oriente. Nuove aree geopolitiche, tra cui il Caucaso meridionale, l’Asia centrale e persino l’Afghanistan, dove l’influenza regionale si gioca su fronti complessi e variabili, sono ormai zone di frizione. Soprattutto gli Stati del Golfo stanno monitorando con attenzione la competizione tra le due potenze regionali, cercando di bilanciare i propri interessi senza compromettere le relazioni con uno dei due attori.

Un conflitto diretto tra Iran e Turchia sembra da escludere. Tuttavia, come spesso capita, è una possibilità tutt’altro che remota quella dell’ennesima «guerra per procura» con nuovi teatri di scontro nelle aree del Medio Oriente. Ancora una volta Siria, Libano e Paesi limitrofi potrebbero pagare il prezzo più alto.


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