A Damasco si procede a piccoli passi verso la nuova forma costituzionale che assumerà il Paese. Tra segnali di cambiamento nei costumi dei musulmani e incognite circa l'effettivo controllo che sapranno esercitare sul terreno le nuove autorità siriane.
Dall’altro capo del filo, la voce tradisce qualche preoccupazione. «Scarpa destra o scarpa sinistra, resta il fatto che i piedi sono sempre quelli», sintetizza citando un proverbio arabo. L’allusione è al nuovo regime di Damasco e allo sbandierato nuovo corso di al-Jolani, nome di battaglia del presidente ad interim Ahmed Hussein al-Sharaa. Che persone venute dalle fila del fondamentalismo islamico possano maturare una nuova visione del mondo, al nostro interlocutore, dai segnali colti sul campo, sembra una pia illusione. Ma tant’è.
Un approccio confessionale
L’inizio di questo mese sacro, il primo senza un Assad al potere dopo decenni, è stato decisamente sui generis, rispetto alle abitudini dei siriani. Sabato, primo giorno di Ramadan, la maggior parte dei ristoranti e delle caffetterie nelle varie città del Paese, secondo le indicazioni del ministro ad interim per gli Affari religiosi Hussam Haj-Hussein, è rimasta chiusa. Qualche esercizio commerciale ha aperto come di consueto, ma tenendo le vetrine chiuse per non mostrare gli avventori all’interno.
Tra le nuove raccomandazioni emanate, il divieto di mangiare o bere in pubblico, violazione che verrebbe punita con tre mesi di carcere. Anche se il governo sembra non aver emesso un ordine ufficiale in tal senso, le raccomandazioni del ministero sono prese sul serio, visto il pugno di ferro dimostrato in più occasioni dalle forze dell’ordine.
«Ci sono pure gruppi di fondamentalisti delle varie fazioni, alcuni anche di provenienza straniera, che entrano nei quartieri cristiani e invitano a convertirsi all’islam», dice la nostra fonte (di cui taciamo le generalità per ragioni di sicurezza).
Nell’internazionale del terrore costituito in Siria attorno ad al-Qaida e al sedicente Stato islamico (Isis), poi divenute Hayat Tahrir al-Sham, sono confluite forze jihadiste provenienti da vare nazioni musulmane, tra cui Pakistan, Afghanistan e persino uiguri cinesi. «Un tocco in più in un Ramadan con un nuovo sapore», aggiunge con sarcasmo il Nostro. «Non a caso questo è il Ramadan “della vittoria e della liberazione”, come ha dichiarato il ministro ad interim per gli Affari religiosi in una trasmissione televisiva».
Avviato un dialogo nazionale sul futuro del Paese
Per correttezza va detto che, pur registrando queste contraddizioni, nella capitale siriana il nuovo leader del Paese si è dato un gran daffare per ospitare al palazzo presidenziale una nutrita Conferenza di dialogo nazionale (circa 900 partecipanti che sono convenuti a Damasco il 25 febbraio 2025) e non smette di dare il benvenuto ai diplomatici stranieri. E per la prima volta dopo decenni nei caffè si parla liberamente e si discute.
La partita per la nuova Siria sembra tuttavia ancora aperta, perché la dichiarazione finale del forum nazionale ha evidenziato il ruolo dell’istruzione e l’importanza di sviluppare una vita politica basata sull’inclusività, lo Stato di diritto e la pace sociale. Ha condannato con forza l’espansione israeliana nel sud della Siria, chiedendo un ritiro completo e incondizionato. Di fatto però non ha fornito piste concrete per la formazione del governo. Inoltre, non ha affrontato l’identità politica dello Stato o la struttura della governance: questioni di non poco conto che devono essere risolte prima di qualsiasi transizione significativa. Il 2 marzo il presidente ad interim ha annunciato la formazione di una commissione incaricata di redigere una dichiarazione costituzionale provvisoria. L’intento è di dare presto una cornice legale al periodo costituente necessario a redigere la vera e propria carta fondamentale dello Stato, che potrebbe prender forma di qui a tre anni.
Le aree fuori controllo
Preoccupazioni certamente non da poco arrivano poi dalle aree del nord-est del Paese, una regione fuori dal controllo del governo di Damasco, dove infuria ancora la battaglia. E dove droni e aerei non smettono di depositare il loro carico di morte.
La lotta, che ha costretto migliaia di persone a fuggire dalle loro case, contrappone le Forze democratiche siriane a guida curda, sostenute dagli Stati Uniti, e una milizia araba prevalentemente siriana vicina all’Isis e sostenuta dalla Turchia. La battaglia si è intensificata da quando la fazione di al-Jolani ha spodestato Bashar al-Assad, all’inizio del dicembre scorso.
La posta in gioco è alta, e la vittoria di una fazione o dell’altra ci dirà anche se il presidente ad interim sarà in grado o meno di unificare l’intero Paese, controllare i numerosi gruppi armati religiosi ed etnici e, soprattutto, tenere a bada il gruppo terroristico che aderisce allo Stato islamico.
Tra curdi e Isis
In bilico è anche il destino dei curdi siriani, una minoranza che costituisce circa il 10 per cento della popolazione. La Turchia li considera una minaccia sia in patria sia nella vicina Siria, perché alcune fazioni curde spingono per la creazione di uno Stato separato nel nord-est della Siria.
Il nuovo governo di Damasco sta facendo pressione sulle Forze democratiche siriane affinché disarmino e si fondano in una forza militare nazionale, ma questa fazione si è mostrata riluttante. La preoccupazione manifestata anche da alcuni ambienti diplomatici è che, se i curdi siriani fossero incorporati in una forza nazionale, di fatto potrebbero non essere più in grado di contrastare l’avanzata dello Stato Islamico. Mentre Damasco si discuteva del futuro della Siria sotto la leadership ad interim di al-Jolani, un altro dialogo con 200 partecipanti si è tenuto solo due giorni dopo a Raqqa, organizzato dal Centro del Rojava per gli studi strategici e guidato dall’Amministrazione autonoma democratica della Siria settentrionale e orientale e dalle Forze democratiche siriane, con il sostegno statunitense. Questo forum ha messo in luce la crescente frammentazione politica della Siria, offrendo una visione alternativa basata sul decentramento e sulla governance inclusiva.
Le Forze democratiche siriane, va detto, hanno compiti di sorveglianza anche su una ventina di prigioni nel nord-est della Siria che ospitano circa 9.500 combattenti dello Stato islamico e i campi profughi che ospitano circa 40 mila familiari (mogli e figli di combattenti dell’Isis).
Se questi guerriglieri fondamentalisti dovessero evadere o essere liberati, per la Siria e per i Paesi vicini si ripresenterebbe una gravissima minaccia.
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