Da giorni vi sono abitanti della Striscia di Gaza che organizzano manifestazioni pubbliche per contestare Hamas e le conseguenze delle sue azioni. Forse, allora, non è poi così vero che tutto un popolo è complice del terrorismo.
Nella Striscia di Gaza – in particolare nei centri di Beit Lahia, Khan Yunis e Jabalia – da qualche giorno vengono inscenate proteste contro la guerra e contro la gestione della crisi da parte di Hamas. Le manifestazioni non sembrano ancora esaurite e sono un segnale che una politica più intelligente e meno concentrata sull’uso della forza dovrebbe cogliere. Hamas le ha subito bollate come ispirate da Israele (così fan tutti con il dissenso, a quanto pare), cercando di liquidarle alla stregua di un’operazione di pubbliche relazioni del nemico. E invece sono un fatto importante.
In primo luogo smentiscono la narrazione di comodo secondo cui gli abitanti di Gaza sono tutti filo-Hamas e quindi equiparabili a complici del movimento islamista. Si capisce bene perché in Israele questa tesi circoli con larghezza: serve a giustificare i bombardamenti sui civili e sulle infrastrutture vitali, a trasformare i duecento bambini ammazzati in poche ore in inevitabili danni collaterali. Tesi che, sotto pelle, circola anche dalle nostre parti e giustifica l’inazione e la complicità morale con ciò che accade nella Striscia.
È una panzana che si fa circolare con facilità perché sono pochissimi coloro che hanno davvero visitato la Striscia e parlato con i palestinesi che vi abitano. Chi scrive lo ha fatto tre volte, in anni diversi, trovando anche alloggio in case di famiglie palestinesi. E quando sente dire che i palestinesi di Gaza sono pro-Hamas non sa se ridere o piangere.
Da quando, nel 2006, vinse le elezioni e cacciò al Fatah dalla Striscia, Hamas ha instaurato un regime che sta a metà strada tra il socialismo reale e lo Stato islamico, che ha sicuramente molti sostenitori ma in cui la libertà d’opinione e di critica è un miraggio. È lo stesso criterio paradossale con cui, in questi anni, si sono scritti fiumi d’inchiostro su quanto dittatoriale sia diventata la Russia, accusando nello stesso tempo i cittadini russi di non ribellarsi. A Gaza uguale, solo molto peggio.
Le proteste contro Hamas di questi giorni, quindi, incrinano quel racconto di comodo. Ma anche la propaganda di Hamas subisce corposi danni. L’odio nei confronti di Israele è stato, nei decenni, un perfetto collante ideologico rispetto alle sofferenze che le strategie di Hamas hanno imposto ai gazesi. Parte dei quali, però, sa benissimo che si tratta di strategie che non hanno fatto altro che avvantaggiare Israele e non hanno portato un solo risultato favorevole alla popolazione di Gaza. Al contrario: giusto o sbagliato che sia, la realtà è che l’Occidente e i Paesi arabi, in passato solidali con la causa palestinese, oggi osservano con distacco, e in qualche caso con compiacimento, il sistematico massacro del popolo della Striscia.
D’altra parte tutto questo a Hamas interessa poco. Lungi dall’essere un movimento di liberazione della Palestina, come qualche illuso ancora crede, Hamas è un movimento islamista che persegue la cacciata di Israele (obiettivo che definire folle e illusorio è poco) per restituire la Palestina alla umma islamica, entità estinta da secoli e resuscitata, nello scorso decennio, dai finti califfi dello Stato islamico e dei suoi derivati. Per cui, giù il cappello di fronte ai gazawi che, tra la repressione di Hamas e le bombe di Israele, hanno il coraggio di scendere in strada a chiedere il cambiamento.