
La scure del presidente Donald Trump sugli aiuti americani allo sviluppo e alla cooperazione internazionale ha colpito a cascata varie organizzazioni umanitarie che operano nel cosiddetto sud del mondo. Tra queste anche organismi ebraici o israeliani.
La Corte suprema degli Stati Uniti ha sbloccato circa due miliardi di dollari di fondi destinati all’agenzia Usaid, l’ente che coordina gli aiuti umanitari degli Usa nel mondo, congelati da Donald Trump. Da quando è tornato alla Casa Bianca, lo scorso 20 gennaio, il presidente ha deciso di marcare un punto di svolta di enorme portata nella politica di solidarietà internazionale degli Stati Uniti, introducendo una serie di misure che di fatto limitano (e in alcuni casi cancellano) progetti di sviluppo e di cooperazione. Dopo lo stop previsto da un decreto esecutivo firmato il 20 gennaio, la Corte suprema degli Stati Uniti ha tuttavia decretato che i due miliardi in questione devono essere pagati agli appaltatori che hanno già completato i loro contratti. Un pronunciamento che, di fatto (anche se la maggioranza della Corte è filo-Trump), ha dato torto al presidente. A fare ricorso contro il taglio da due miliardi erano state due organizzazioni che avevano un contratto con Usaid: Aids Vaccine Advocacy Coalition e Global Health Council. La gran parte dei tagli voluti da Donald Trump, comunque, resta in essere. L’intenzione è di ridurre il budget del 92 per cento, con un risparmio complessivo da 54 miliardi di dollari.
La scure di Trump sugli aiuti allo sviluppo e alla cooperazione internazionale ha colpito a cascata anche una serie di organizzazioni umanitarie che operano nel cosiddetto sud del mondo. E che da sempre dipendono in gran parte dai finanziamenti che arrivano da Washington. Secondo una nota stampa di Usaid, l’interruzione permanente di alcuni programmi potrebbe portare fino a 18 milioni di casi di malaria in più all’anno e fino a 166 mila morti in più per questa malattia. Potrebbero anche verificarsi ogni anno 200 mila casi in più di poliomielite paralitica e oltre 28 mila nuovi casi di malattie infettive come l’Ebola. Devastanti anche le conseguenze nel campo dell’occupazione. Usaid potrebbe dover licenziare la maggior parte dei suoi 10mila dipendenti.
Le decisioni della Casa Bianca stanno producendo un effetto nefasto sui Paesi beneficiari e sulle organizzazioni umanitarie anche in Medio Oriente. Olam, per esempio, è un’organizzazione ebraica che riunisce organizzazioni non governative che operano nel campo dello sviluppo. Prima del 20 gennaio Olam aveva 40 dipendenti con sedi in una mezza dozzina di Paesi, soprattutto in Kenya. Con il taglio di Usaid sono iniziati i licenziamenti e sono state cancellate le attività di formazione
Il portavoce della più grande ong israeliana di aiuti umanitari, IsraAid, ha dichiarato alla testata elettronica The Times of Israel che un progetto a Vanuatu, nel Pacifico, è stato sospeso a causa del congelamento dei fondi. Alon Haberfeld, responsabile di Fair Planet, un progetto agricolo israeliano noto in tutto il mondo, ha dichiarato che il finanziamento Usaid di 400 mila dollari, principale sostegno per un progetto in Ruanda, è stato sospeso e che, se non rinnovato, ne decreterà la fine. Yossi Abramowitz, presidente e amministratore delegato di Gigawatt Global, che si occupa di progetti di energia solare, ha dichiarato che la sua azienda aveva già investito 1,5 milioni di dollari e attendeva altri 2 milioni di dollari da Usaid per un progetto di sviluppo in Uganda.
Anche per chi opera in Israele c’è allarme. All’inizio del mese, un funzionario israeliano ha espresso la preoccupazione che i tagli su Usaid potessero influire sui programmi a Gaza, in Cisgiordania e altrove, importanti per la sicurezza e l’economia di Israele. Il Cogat, l’organismo militare israeliano che amministra i Territori palestinesi e controlla anche la consegna degli aiuti umanitari a Gaza, non esclude il precipitare della crisi umanitaria. Ricordiamo, per inciso, che due nuove leggi dello Stato di Israele, hanno fortemente limitato le operazioni dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi, per il suo presunto sostegno al terrorismo.
Anche Hias, un’organizzazione originariamente fondata da ebrei per aiutare i correligionari in fuga dall’Europa orientale, si è schierata con altre organizzazioni che contestano le mosse di Trump. L’ong assiste rifugiati e richiedenti asilo in più di 20 Paesi. L’anno scorso ha aiutato a trovare collocazione a 8.300 rifugiati negli Stati Uniti. Ora l’organizzazione ha dovuto chiudere programmi che raggiungevano 450mila persone e licenziare centinaia di dipendenti e collaboratori, sospendendo programmi immediati e salvavita per i bambini sfollati e a rischio, piani di salute mentale e di sostegno psicosociale, progetti di inclusione economica che sostenevano i rifugiati nel costruirsi una nuova vita e la protezione contro il traffico e la violenza per le donne e le ragazze di tutto il mondo.
Early Starters International, co-fondata dalle educatrici israeliane Ran Cohen Harounoff e Sarah Wilner, è anch’essa in fibrillazione. L’associazione si occupa di attività di sostegno contro i traumi della guerra per bambini in Ucraina e in Israele (dopo le stragi messe in atto da Hamas il 7 ottobre 2023 nel sud di Israele e l’evacuazione delle comunità ai margini della Striscia di Gaza e al confine con il Libano). Le politiche della nuova amministrazione americana stanno mettendo a rischio questi progetti in favore di rifugiati e richiedenti asilo, colpendo soprattutto madri e minori. I più deboli e vulnerabili in ogni contesto di violenza.