Il primo aprile 2025 sarà un giorno infausto per centinaia di migliaia di afghani che negli anni scorsi si sono trasferiti, come profughi, in Pakistan. Iniziano i rimpatri forzati, esito anche di una promessa due volte tradita dal governo degli Stati Uniti, dopo il ritiro delle sue truppe nel 2021.
A partire da domani, primo aprile 2025, circa 870 mila afghani, profughi in Pakistan, saranno rimpatriati forzatamente nel loro Paese per decisione del governo di Islamabad. Anche se a firmare il provvedimento esecutivo e a prendersi una buona quota di responsabilità sono le autorità pakistane, nondimeno questa decisione estrema è anche il risultato di un doppio tradimento da parte degli Stati Uniti. Il primo tradimento verso gli afghani avvenne nell’agosto 2021, quando l’amministrazione democratica del presidente Joe Biden abbandonò Kabul nelle mani dei talebani, il secondo è opera dell’attuale amministrazione repubblicana di Donald Trump che ha tagliato gli aiuti per i rifugiati e ha bloccato il loro parziale ricollocamento in America.
A una parte di profughi, quelli che avevano collaborato attivamente con gli americani e la Nato nella lotta contro i fondamentalisti islamici, l’ex presidente Biden aveva promesso un visto speciale per trasferirsi negli Stati Uniti. Un sogno accarezzato da molti in questi anni e che finirà nel nulla, dato che l’attuale vicepresidente James David Vance ha già bocciato l’operazione, andata, per la verità, a rilento e con il contagocce sotto gli stessi democratici.
A far precipitare la situazione negli ultimi due mesi sono stati i tagli alle operazioni umanitarie decisi dal presidente Donald Trump. L’azzeramento degli aiuti statunitensi, che rappresentavano il 42 per cento dell’assistenza internazionale al Pakistan – una spesa che già lo scorso anno era rimasta molto al di sotto dell’obiettivo dell’Onu di 364 milioni di dollari per sostenere il peso di oltre due milioni di immigrati afghani – ha provocato l’immediato disimpegno del governo di Islamabad. Già da tempo poco disposto a sopportare il carico che gli era stato imposto dagli errori occidentali in Afghanistan e impegnato in quotidiani scontri frontalieri con i talebani, il Pakistan ha intimato a circa 870 mila profughi afghani di abbandonare volontariamente il Paese. Con il primo aprile inizia il rimpatrio forzoso. «Il taglio dell’assistenza internazionale è stato un elemento importante nella nostra decisione di aumentare le deportazioni», ha spiegato, al quotidiano Financial Times, un alto funzionario governativo pakistano, che ha chiesto l’anonimato. Il Pakistan, anche per ragioni di ordine ed equilibri interni, non è mai stato tenero con i rifugiati afghani e già nel 2023, aveva spinto, con le buone o le cattive, circa 800 mila rifugiati a rientrare in Afghanistan. Tra di loro molte donne e bambine che, come profughe in Pakistan avevano potuto continuare a frequentare scuole e università, ormai a loro interdette dai talebani.
Secondo diversi esperti della regione, sarà difficile che l’Afghanistan, sopraffatto da un’acuta crisi economica dovuta alle sanzioni internazionali contro il regime dei talebani e al venir meno di ogni aiuto internazionale, possa riuscire ad integrare la nuova marea di rientri. I rimpatriati forzati rischiano di causare un vero disastro umanitario.
Tra i rifugiati in Pakistan, ci sono anche le circa 20mila famiglie afghane a cui era stata promessa una ricollocazione negli Stati Uniti. Il vicepresidente americano, Vance, in un’intervista lo scorso gennaio a CBS News, aveva sostanzialmente bloccato il processo, sostenendo che i controlli sugli afghani erano troppo deboli. In febbraio, il ministro degli esteri pakistano, Ishaq Dar, in un’intervista alla televisione turca TRT, ha dichiarato che anche questi rifugiati saranno rimpatriati con la forza, se Washington non li dovesse accogliere entro il prossimo settembre.
Tra le tante storie amare, il canale televisivo qatariota Al Jazeera ha dedicato proprio in questi giorni un documentario a un gruppo di adolescenti e bambine afghane che avevano imparato a suonare la chitarra nella Kabul sotto controllo americano e continuano a esercitarsi insieme a Islamabad, nella speranza di diventare professioniste un giorno negli Stati Uniti. Tre di loro, insieme alle famiglie, sono riuscite ad ottenere un ricollocamento in America. Le altre quattro sono rimaste in un limbo angoscioso, i cui orizzonti si stanno progressivamente chiudendo.