
Incertezze e turbolenze accompagnano il finale della prima fase del cessate il fuoco tra Hamas e Israele, che si accusano reciprocamente di scarso rispetto degli accordi. Sabato 15 febbraio previsti nuovi rilasci di ostaggi e detenuti.
Due giorni fa, al termine di un lungo consiglio di gabinetto, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha avvertito Hamas: Israele continuerà a rispettare l’accordo di cessate il fuoco a Gaza se sarà liberato il sesto gruppo di ostaggi entro sabato a mezzogiorno. Ma «se non verranno restituiti gli ostaggi alla data prevista si riprenderà a combattere intensamente finché Hamas non sarà definitivamente sconfitto».
Nell’eterno gioco delle parti, Hamas ribadisce viceversa l’impegno per l’accordo di cessate il fuoco a Gaza, ritenendo Israele responsabile di «complicazioni e ritardi».
Netanyahu, al termine della riunione durata oltre quattro ore, ha anche ribadito l’ordine di rinforzare i ranghi dell’esercito a Gaza e dintorni. Non ha specificato se l’eventuale rottura del cessate il fuoco comporterà un nuovo massiccio ingresso di truppe nella Striscia, dopo che nei giorni scorsi Israele ha smantellato le postazioni militari e ritirato i carri armati dal corridoio di Netzarim, che si estende per circa 6 chilometri dal “confine” orientale con Israele fino al Mar Mediterraneo. Il corridoio è stato creato dalle forze israeliane per schierare le truppe durante l’offensiva e tagliare in due e l’enclave palestinese.
La minaccia di una ripresa delle ostilità – bombardamenti e operazioni via terra – è sostenuta anche da Donald Trump, il «miglior amico d’Israele», come lo ha definito Netanyahu nel corso della sua visita alla Casa Bianca. Va ricordato che una delle prime mosse del presidente degli Stati Uniti, dopo l’insediamento del 20 gennaio scorso, è stata quella di confermare il pacchetto di aiuti militari già previsto dalla precedente amministrazione. Il 7 febbraio, secondo quanto riferito dal Dipartimento di Stato, è stata approvata la vendita di munizioni e altri armamenti a Israele per un valore di 6,75 miliardi di dollari.
Su Gaza Trump non demorde
Intanto dalla Casa Bianca il presidente non cessa di illustrare il suo piano per Gaza, che prevede l’allontanamento (definitivo o temporaneo?) della popolazione della Striscia. Lo ha fatto anche di fronte a re Abdallah II di Giordania, l’11 febbraio, insistendo ancora una volta sul fatto che gli Stati Uniti «prenderanno» il controllo della Striscia e dicendo che i Paesi vicini dovranno assorbire la popolazione palestinese fuoriuscita. Ha inoltre minacciato di sospendere gli aiuti statunitensi all’Egitto e alla Giordania in caso di rifiuto. Di fronte alle dichiarazioni di Trump il sovrano hashemita sembra aver abbozzato, ma in un post successivo sui social media ha ribadito che la Giordania si oppone fermamente allo sfollamento dei palestinesi. Che voglia farne la «Riviera» del Medio Oriente o qualsiasi altra cosa, la proposta di Trump per Gaza, con il trasferimento forzato di oltre due milioni di palestinesi, comporta una chiara violazione del diritto internazionale, e potrebbe configurarsi in un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità.
La minaccia ventilata negli ultimi giorni da Hamas di non rilasciare gli ostaggi la cui liberazione è prevista per sabato 15 febbraio, sembra essere rientrata in queste ore. Di fatto Hamas accusa Israele di non aver inviato a Gaza tutte le centinaia di migliaia di tende promesse e l’ammontare concordato di camion con gli aiuti. Israele rimanda al mittente le accuse come false. Ma alcune fonti israeliane interpellate dal quotidiano statunitense The New York Times sostengono che la notizia è attendibile.
Israele, dal canto suo, ha pesantemente criticato Hamas per le condizioni precarie di alcuni degli ostaggi rilasciati e le situazioni umilianti in cui è avvenuta la consegna al Comitato internazionale della Croce Rossa, tra ali di folla vociante… Circostanze che nello Stato ebraico hanno provocato una rabbia diffusa.
Incerta la fase due
Il vero punto di svolta, se non si tornerà alle armi, sarà la seconda fase dell’accordo di cessate il fuoco, che richiede la fine permanente dei combattimenti, il ritiro completo di Israele da Gaza e il rilascio di altri ostaggi e prigionieri palestinesi. Una delegazione israeliana è in Qatar su ordine di Netanyahu per discutere alcuni aspetti del cessate il fuoco e della seconda fase, ma secondo i media israeliani, i funzionari per ora non hanno nessun mandato per negoziare la fase successiva dell’intesa.