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Non è tra le priorità più incalzanti degli attuali governanti in Siria. Di certo, però, risanare il patrimonio archeologico danneggiato dalla guerra può contribuire a risollevare il Paese, un tempo meta apprezzata dal turismo internazionale.
Prima dello scoppio della guerra civile, nel marzo 2011, il vero petrolio siriano era il turismo. Secondo i dati ufficiali forniti a gennaio 2011 dal ministero del Turismo di Damasco, circa 6 milioni di turisti stranieri avevano visitato la Siria nel 2009. L’anno successivo era stato registrato un vero e proprio balzo in avanti, con 8 milioni e 500 mila visitatori, oltre il 40 per cento in più. Le entrate del settore turistico avevano raggiunto gli 8 miliardi e mezzo di dollari, il 14 per cento del Prodotto interno lordo. Il comparto era arrivato ad impiegare oltre il 10 per cento della forza lavoro attiva nel Paese.
Ovviamente la guerra civile ha dato un colpo di spugna anche a questo settore, privando la nazione di un’incredibile fonte di ricchezza. Di pari passo alla tragedia di un conflitto che è durato per 14 anni, con le varie fazioni islamiste impegnate a combattere il presidente Bashar al-Assad (caduto solo a inizio dicembre 2024 e ora in esilio a Mosca), si è perpetrato anche lo scempio dei principali siti storici e archeologici della Siria. Secondo i dati dell’Unesco, l’Agenzia dell’Onu per l’educazione e la cultura, cinque dei sei siti iscritti nell’elenco dei beni Patrimonio dell’Umanità (oltre alla città vecchia di Damasco, Palmira, la cittadella di Aleppo, il Krak des Chevaliers e l’insieme di 40 antichi villaggi sparsi in 8 aree nella Siria settentrionale, noti anche come Città morte) sono stati colpiti più o meno gravemente a causa di bombardamenti aerei, cannoneggiamenti, atti vandalici… Solo l’antica città di Bosra sembrerebbe meno toccata dai danneggiamenti. Nel 2013, comunque, l’Unesco ha inserito tutti i sei siti nella lista dei beni ufficialmente considerati in pericolo e quindi meritevoli di particolare attenzione. A fine settembre dello stesso anno, 289 mete turistiche erano state lesionate o rese inagibili.
Ora che a Damasco il nuovo corso di Ahmed Al-Sharaa e la prospettiva, a giorni, di un nuovo governo di unità nazionale, aprono qualche spiraglio di futuro, si riaffaccia tra gli esperti locali e degli organismi internazionali, Unesco in testa, la speranza di poter tornare nei siti del patrimonio culturale siriano devastati dalla guerra, per gettare le basi di un loro restauro. In un Paese letteralmente sul lastrico, il rilancio del turismo culturale potrebbe fornire la spinta necessaria all’economia nazionale.
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Scorcio di Palmira in uno scatto fotografico del 2010. (G. Caffulli)
Tra le perle della Siria non possiamo non ricordare, prima tra tutte, Palmira, un tempo snodo fondamentale dell’antica Via della Seta che collegava le sponde mediterranee dell’Impero romano all’Asia. Costruita sul limitare del deserto siriano, dell’antico splendore di un tempo restano colonne in frantumi e templi danneggiati. Prima del 2011 l’area archeologica di Palmira era la principale destinazione turistica della Siria e attirava circa 150mila visitatori al mese. Con l’arrivo dello Stato islamico, i templi e le tombe sono stati devastati. L’Isis è arrivato perfino a far saltare con la dinamite, il 24 agosto 2015, gli storici templi di Bal e Baalshamin, oltre a devastare l’Arco di trionfo e la via colonnata, considerandoli monumenti all’idolatria. Tra i gesti più efferati compiuti dagli estremisti islamici, l’assassinio del famoso archeologo Khaled al Asaad, che aveva dedicato la sua vita allo studio e alla custodia del sito.
Tra il 2015 e il 2017, il controllo di Palmira era passato dall’Isis all’esercito siriano, con il sostegno delle truppe di Mosca. Il castello di Fakhr al-Din al-Ma’ani, una fortezza islamica del XVI secolo che domina l’antica Palmira, venne riutilizzato dalle truppe russe come caserma militare.
Chi visitasse oggi Palmira si troverebbe di fronte a uno scempio di enormi proporzioni. Oltre ai monumenti deturpati e alle tombe oltraggiate da scritte blasfeme, la zona è stata oggetto di scavi illegali da parte di tombaroli e contrabbandieri. Molti reperti archeologici sono probabilmente finiti in mercati clandestini o in collezioni private.
Oltre a Palmira, le ferite della guerra sono visibili in maniera evidente ad Aleppo, dove la cittadella e lo storico mercato coperto, un tempo pullulante di vita, sono stati letteralmente devastati dai combattimenti. I monumenti del XIII secolo, la Grande moschea del XII secolo, le varie madrase, i palazzi, i caravanserragli e gli hammam necessitano di un meticoloso lavoro di restauro, per poter essere restituiti al popolo siriano in primis, e al turismo mondiale poi.
Stesso discorso per il Krak des Chevaliers, il castello medievale crociato arroccato su una collina che domina la valle, vicino alla città di Al-Husn. Pesantemente bombardata durante la guerra civile siriana e lesionata ulteriormente dal terremoto del 2023, la fortezza è un gioiello d’architettura militare. Solo un rapido intervento di restauro potrà scongiurarne la rovina.
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Foto d’archivio del Krak des Chevaliers. (G. Caffulli)
Tra le mete turistiche un tempo molto gettonate, nella Siria nord-occidentale, gli insediamenti bizantini noti come Città morte, affascinanti rovine di case in pietra calcarea, basiliche, tombe e strade colonnate dove il tempo sembra essersi fermato. Risalenti al I secolo, questi villaggi, che un tempo prosperavano grazie al commercio e all’agricoltura, vennero abbandonati in seguito a un terribile terremoto in età tardo-antica. Le Città morte sono state inserite nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco nel 2011 come museo a cielo aperto. Da allora la guerra ha impedito ai visitatori di mettervi piede.
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Le vestigia della basilica di San Simeone lo Stilita, a Qal’at Sem’an (una delle Città morte della Siria settentrionale), visitate dai turisti nel 2010. (foto G. Caffulli)
Quella per il recupero del patrimonio archeologico siriano è una corsa contro il tempo. «Purtroppo le autorità e la nuova amministrazione sono ancora in una fase di transizione e il patrimonio al momento non è una priorità», spiega da Damasco Ayman al-Nabo, direttore dell’organizzazione non governativa Centro delle antichità di Idlib.
Da parte sua Anas Zaidan, responsabile della Direzione generale delle antichità e dei musei siriani (Dgam), in un webinar organizzato il 20 gennaio scorso da Blue Shield e Heritage for Peace, due ong che si occupano di difendere il patrimonio culturale, ha presentato un ambizioso progetto per la conservazione di musei e siti archeologici, la creazione di nuovi musei in aree come Ebla, Ugarit e Mari, oltre alla digitalizzazione degli antichi manoscritti custoditi nelle biblioteche nazionali. Oltre a lavorare a stretto contatto con l’Unesco, Zaidan ha spiegato che serviranno ingenti risorse, competenze e tecnologia, per vincere una battaglia (quella della salvaguardia di un patrimonio inestimabile) che si rivela irrinunciabile ma difficilissima.
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