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«In Irlanda ci siamo riusciti». La lezione di Mari Fitzduff

Manuela Borraccino
20 febbraio 2025
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C’era anche una delle attiviste che nel 1998 portò l’Irlanda del Nord agli accordi di pace al raduno nei giorni scorsi a Gerusalemme di 70 attivisti israeliani e palestinesi di 40 ong della società civile.


«I conflitti non necessariamente finiscono, ma cambiano». Così l’attivista irlandese Mari Fitzduff, docente emerita della Heller School per le Politiche e servizi sociali dell’Università Brandeis nel Massachusetts (Usa), ha provato a risollevare gli animi di una settantina di attivisti israeliani e palestinesi che tra mille difficoltà sono riusciti a incontrarsi a Gerusalemme lo scorso martedì 4 febbraio, appena un paio di giorni prima che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump lanciasse il suo piano-choc sulla deportazione della popolazione palestinese da Gaza.

All’incontro annuale erano presenti, fra gli altri, le rappresentanti di Women Wage Peace (Le donne fanno la pace) e delle loro partner palestinesi, Women of the Sun (Donne del sole), la sezione israeliana di Medici per i diritti umani (Physicians for Human Rights) e l’associazione arabo-ebraica Standing together (Stare insieme). Gli israeliani erano più numerosi dei palestinesi della Cisgiordania, a causa delle restrizioni alla mobilità imposte a questi ultimi da ormai 16 mesi. Nell’aprire i lavori Meredith Rothbart, cofondatrice e direttrice dell’associazione Amal Tikva che ha organizzato l’evento e che ha formato con le sue consulenze e corsi di leadership molti membri delle organizzazioni pacifiste, ha detto: «Nell’ultimo anno innumerevoli articoli ci hanno spiegato che il processo di costruzione della pace è morto, che nessuno sta più portando avanti un bel niente. Ma quello che vediamo oggi ci dice il contrario».

Meredith Rothbart ha espresso rammarico per l’assenza del suo condirettore Basher Abu Baker e per l’impossibilità a partecipare di molti attivisti palestinesi della Cisgiordania e di Gaza: «Non c’è un posto che sia reamente sicuro per tutti noi per incontrarci, né in Israele, né in Cisgiordania o a Gerusalemme». Ed è significativo che molti fra i palestinesi presenti non abbiano voluto fornire i loro cognomi ai cronisti di Haaretz e altre testate presenti per timori di rappresaglie e per lo spettro sempre presente di venire accusati di perseguire un’impossibile normalizzazione, dati i rapporti di forza così asimmetrici fra la popolazione ebraica e quella palestinese.

Ha poi passato la parola all’anziana attivista irlandese, ospite d’onore della giornata. Negli anni Novanta Fitzduff dirigeva il Consiglio per le relazioni di comunità dell’Irlanda del Nord e partecipò ai negoziati di pace che il 10 aprile 1998 portarono agli Accordi del Venerdì santo mettendo fine a decenni di spargimento di sangue con il Regno Unito. Uno dei conflitti del Novecento definiti “intrattabili” per le loro caratteristiche, dopo molto spargimento di sangue e tante vittime, approdava così a una pace fredda sì, ma pur sempre pace. «Mi sono chiesta se fosse opportuna la mia partecipazione» ha detto Mari Fitzduff, ricordando le tante vittime israeliane e palestinesi dal 7 ottobre ad oggi e il sollievo di trovarsi a Gerusalemme durante una tregua. «Mi sento fortunata ad essere qui in un periodo, forse solo un paio di giorni, in cui non dobbiamo svegliarci e renderci conto di quante persone sono morte durante la notte. Ricordo così bene quei giorni in Irlanda del Nord, quando ci svegliavamo un mattino dopo l’altro apprendendo di nuovi bombardamenti, di nuove uccisioni. Quanto ci faceva soffrire quella situazione».

La politologa ha ricordato quel che ha imparato dai tentativi di mediazione fra le fazioni cattoliche e protestanti in lotta in Irlanda. «Le persone continueranno a scontrarsi e a non andare d’accordo, ma la speranza è che usino le armi della politica e del dialogo piuttosto che degli omicidi. Entrambe le parti in Irlanda del Nord dovevano arrivare a capire e a riconoscere che l’approccio prevalente del ricorso alla violenza non funzionava. E che avevano bisogno di nuovi leader – sì, nuovi leader… vi dice qualcosa questo? Ha incalzato Fitzduff – per fare dei passi avanti». Anche la giustizia riparativa potrebbe fare molto per avvicinare i due popoli, come già si vede in numerose organizzazioni: «La prigione dovrebbe essere un tempo di riabilitazione e di de-radicalizzazione piuttosto che di mera punizione» ha aggiunto.

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