«È ora che l’esercito israeliano passi all’offensiva in Cisgiordania». Il titolo dell’edizione online del giornale Yedioth Ahronoth non lascia dubbi. Men che meno il sommario: «I vertici militari hanno aggiunto la Cisgiordania agli obiettivi della guerra».
Dopo l’entrata in vigore della tregua con Gaza, il fronte interno ai Territori palestinesi è più che mai in fibrillazione, specie dopo l’attentato dinamitardo che lunedì ha provocato la morte del sergente di prima classe Eviatar Ben Yehuda, 31 anni, caduto in una operazione militare nei pressi del villaggio palestinese di Tammun, a sud di Jenin, nel nord della Cisgiordania.
Ormai anche la situazione della Cisgiordania si è fatta quanto mai complicata. Se sul fronte di Gaza si contano oltre 47 mila morti (secondo molte fonti sottostimati di almeno il 40 per cento), nei Territori occupati sono state uccise dal 7 ottobre 2023 ad oggi oltre 800 persone, per mano dell’esercito israeliano o dei gruppi paramilitari formati dai coloni. Accanto alle infiltrazioni di Hamas e del Jihad islamico in Cisgiordania, crescono anche gruppi informali che non fanno parte di alcuna organizzazione terroristica e sono di fatto «cani sciolti», che progettano attentati e azioni di guerriglia contro le forze occupanti dell’esercito israeliano (Idf). A poco finora sono servite le azioni della polizia palestinese, che in un comprensibile tentativo di scongiurare l’intervento massiccio dell’Idf ha cercato di arginare questi gruppuscoli terroristici. Senza troppo successo. Ecco perché, sostiene nel suo articolo Yossi Yehoshua è tempo «di passare immediatamente ad azioni offensive significative per fare pressione sui terroristi. Non è più sufficiente essere solo difensivi».
«Tammun – argomenta il giornalista – fa parte di un’area in cui l’Idf ha operato due settimane fa, ma non è considerata un crocevia del terrorismo come Jenin, Tulkarem o l’area di Nablus. Nonostante ciò, vi è stata piazzata una carica esplosiva che ha colpito una jeep militare e ha causato la morte del soldato e il ferimento di quattro suoi compagni. Sebbene l’Idf abbia affermato che l’ordigno era improvvisato e non standard, è riuscito a danneggiare significativamente la jeep. L’esercito israeliano non disponeva di informazioni di intelligence che indicassero che il percorso fosse stato truccato, né aveva valutato che un esplosivo sarebbe stato collocato in un luogo del genere. Per questo motivo, un bulldozer D9 non ha attraversato l’area, come avviene, ad esempio, nel campo profughi di Jenin, che deve essere regolarmente “dragato” per evitare il posizionamento di esplosivi pesanti destinati a danneggiare le forze che si muovono nella zona».
Fonti d’intelligence hanno più volte segnalato l’ingresso di potenti esplosivi nella Cisgiordania, alcuni dei quali di tipo militare. Arrivano probabilmente dall’Iran, attraverso la Giordania. Lunghi tratti dei reticolati sulla frontiera tra il Regno giordano e i Territori occupati, pur presidiati dall’esercito israeliano, sono molto vecchi, e abbastanza facili da attraversare.
Gli attentati ai veicoli militari israeliani dentro la Cisgiordania ultimamente sono stati diversi. La settimana scorsa un blindato è saltato sopra un ordigno esplosivo a Qabatiya. Tre soldati sono rimasti feriti, due dei quali in modo grave. Circa un mese fa, un veicolo militare che trasportava il comandante della Brigata Menashe, il colonnello Ayoub Kyuff, e il comandante della Divisione Cisgiordania, il generale di brigata Yaakov Dolf, è stato colpito da un ordigno. Kyuff è rimasto leggermente ferito. Dolf miracolosamente illeso.
«Forse anche in quel caso – scrive ancora Yossi Yehoshua – l’incidente avrebbe dovuto essere preso più seriamente e si sarebbe dovuti passare a un’azione offensiva, perché immediatamente dopo è arrivato grave attacco a Funduq, in Cisgiordania, vicino a Kedumim, nel quale sono stati uccisi tre israeliani e otto persone sono state ferite. La cellula terroristica che lo ha compiuto era esperta, è arrivata sul posto con armi avanzate, è fuggita rapidamente dalla scena e non è ancora stata catturata». L’episodio è avvenuto il 6 gennaio scorso nella Samaria settentrionale.
Il timore che i Territori occupati possano essere infiammati dalla violenza nasce anche, secondo alcuni analisti, dalla propaganda di Hamas che sta spacciando come una vittoria la tregua e il rilascio dei prigionieri dalle prigioni come parte dell’accordo di Doha.
Non è un’ipotesi peregrina che alcuni gruppi sotterranei o anche le fazioni più strutturate, possano cercare di sobillare la Cisgiordania. Oltre agli attacchi contro le forze armate israeliane, «l’obiettivo potrebbe essere quello di rovesciare l’Autorità nazionale palestinese e a prenderne il controllo», dice ancora l’articolista.
Che questa ipotesi sia seriamente contemplata dai vertici militari israeliani lo dimostra il nuovo dispiegamento di forze. In una regione dove vivono tre milioni di palestinesi e 700 mila coloni il rischio di una guerra civile non è peregrino. Per questa ragione l’esercito ha rafforzato la Divisione Cisgiordana con sette compagnie distribuite in diversi settori dell’area. Sono stati creati posti di blocco e barriere per i veicoli palestinesi, nel tentativo di sventare i prossimi attentati.
Dal primo pomeriggio di oggi, è iniziata un’operazione ad ampio raggio – chiamata Muro di ferro – contro il terrorismo palestinese a Jenin, con l’impiego di carri armati e supporto aereo.
Il ministro della Difesa Israel Katz ha dichiarato che l’operazione è stata anche una dimostrazione di forza più ampia contro il terrorismo palestinese, per scoraggiare Hamas e altri a creare problemi in Cisgiordania ora che c’è un cessate il fuoco sia con Hezbollah in Libano che con Hamas a Gaza.
Sembra però che Hamas non abbia intenzione di stare a guardare. Contestualmente all’inizio dell’azione dell’Idf, la formazione islamista ha chiesto la piena «mobilitazione» in Cisgiordania.