A Doha, in Qatar, già da ieri – 14 gennaio 2025 – danno per imminente la firma di un accordo tra Israele e Hamas per il cessate il fuoco a Gaza. I mediatori di Qatar, Egitto e Stati Uniti stanno cercando di definire gli ultimi dettagli per un processo che dovrebbe prevedere 42 giorni di tregua, la restituzione degli ostaggi israeliani, la liberazione di un numero consistente di prigionieri palestinesi detenuti in Israele e il graduale ritiro delle truppe dello Stato ebraico dalla Striscia. C’è, tuttavia, chi – in maniera per nulla velata – rema contro ogni ipotesi di accordo.
Guastatori all’opera
Protagonisti di questo ennesimo tentativo di sabotaggio della tregua, oggi come in passato, sono il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, e il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, entrambi leader della destra nazionalista, uniti più che mai nell’ostacolare un possibile accordo.
Ben Gvir e Smotrich avevano già detto che avrebbero fatto cadere il governo piuttosto che accettare un accordo che ponesse fine alla guerra contro Hamas nella Striscia di Gaza. Minacce che sono state ribadite in questi ultimi giorni, definendo quello che si sta negoziando a Doha un «accordo di resa».
Ben Gvir, d’altro canto, ha rimarcato che l’accordo, che includerà il rilascio di centinaia di prigionieri palestinesi, mina la sicurezza d’Israele, permettendo che vengano rimpolpate le fila dei gruppi terroristici a Gaza.
A onor del vero, anche tra le fila di Hamas, nonostante le indicibili perdite subite in 467 giorni di guerra, ci sarebbe chi lavora per alzare ulteriormente la posta. Con l’intento, neppur troppo segreto, di far saltare per l’ennesima volta il banco.
Le pressioni di Trump
Sta di fatto che, da giorni, le delegazioni di Israele e Hamas si trovano nello stesso edificio della capitale qatariota, Doha, ospitate dal primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman Al Thani. Già questo è un dato importante. Un segnale che certamente qualcosa è cambiato, a pochi giorni dalla cerimonia d’insediamento di Donald Trump (che nel frattempo non ha tralasciato di far arrivare alle parti in conflitto quelle che sembrano essere più che minacce, se non si dovesse arrivare ad un cessate il fuoco).
In un articolo apparso sul quotidiano israeliano Haaretz, Amos Harel spiega come Benjamin Netanyahu, dopo l’ennesimo tentativo di resistenza, si sia «piegato alle pressioni di Trump». Durante un incontro con il premier israeliano, l’inviato speciale di Donald Trump per il Medio Oriente, Steven Witkoff, avrebbe ribadito il diktat di The Donald. Di fronte al quale «le cose che Netanyahu aveva definito questioni di vita o di morte sono improvvisamente svanite».
Un accordo in tre fasi
Secondo fonti israeliane, l’accordo in fase di negoziazione è articolato in diverse fasi, che hanno l’obiettivo di garantire sia il rilascio degli ostaggi che il progressivo disarmo di Hamas nelle aree che ancora controlla nella Striscia di Gaza.
La prima fase prevede una tregua di 42 giorni, durante la quale dovrebbe essere dichiarato il cessate il fuoco e contestualmente essere liberate 33 delle 98 persone rapite il 7 ottobre e ancora trattenute come ostaggi (36 sono già considerate morte). In cambio del rilascio di donne, anziani e bambini Israele libererà 50 detenuti palestinesi. In seguito, scarcererà altri mille prigionieri palestinesi, inclusi individui accusati di reati gravi. Contestualmente al ritiro delle truppe israeliane da Gaza – lasciando però una zona cuscinetto lungo il confine con l’Egitto (il corridoio Philadelphia) – sarà possibile per i residenti della Striscia fare rientro alle proprie aree di abituale dimora.
La seconda fase dell’accordo prevede la fine totale del conflitto, con il rilascio degli ultimi ostaggi, tra cui molti in età militare, e la restituzione delle spoglie mortali delle persone decedute. Dopo il sedicesimo giorno della tregua di 42 giorni, i negoziatori inizieranno a discutere i dettagli di una tregua più duratura, con l’obiettivo di consolidare una pace stabile nella regione.
Se entrambe le prime fasi saranno rispettate, si aprirà il negoziato per la terza fase, che prevede il completo ritiro delle forze israeliane dalla Striscia di Gaza e la discussione su come ricostruire e governare l’area. Se la Striscia sarà sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese o sotto tutela da parte di forze internazionali, Stati Uniti compresi, è ancora tutto da vedere. Secondo le dichiarazioni del premier Benjamin Netanyahu, però, lo smantellamento totale del movimento islamista Hamas rimane una priorità non negoziabile.
I passi che restano da fare
Resta da capire se a Doha si riusciranno a vincere le resistenze dei falchi in entrambi gli schieramenti e se il governo d’Israele avrà la forza e i numeri per ratificare un accordo ormai più che in bozza (la seduta dell’esecutivo è prevista nella serata di oggi). E soprattutto stabilire chi e come si prenderà in carico l’emergenza umanitaria e la devastazione che dal 7 ottobre 2023 si è abbattuta sulla Striscia, con oltre 45 mila morti, 100 mila feriti e oltre 2 milioni di sfollati.